Firenze, città culla del Rinascimento, dal 18 ottobre 2024 al 26 gennaio 2025 ospita una mostra che esplora il complesso e affascinante rapporto tra Michelangelo Buonarroti e il potere politico e religioso della sua epoca. Michelangelo e il potere, allestita nelle sontuose sale di Palazzo Vecchio, non solo celebra il genio dell’artista, ma invita a riflettere sulle dinamiche che legano l’opera e la figura di Michelangelo ai potenti del suo tempo, in particolare i Medici e la Chiesa.
L’esposizione non si limita a celebrare il talento dell’artista, ma esplora anche il dilemma eterno che si pone tra l’autonomia dell’artista e le richieste del committente. Il Buonarroti pur essendo riconosciuto come uno dei più grandi artisti del suo tempo, spesso non fu completamente libero nella sua espressione creativa. Le sue opere erano spesso il risultato di compromessi, sfide e tensioni con i suoi committenti, che imponevano vincoli politici, religiosi e, non di rado, personali.
Un esempio emblematico è la Cappella Sistina, una commissione che per Michelangelo fu motivo di numerosi attriti con papa Giulio II. Le difficoltà nel dialogare con il committente non mancarono, come testimoniano le numerose lettere di Michelangelo in cui esprimeva il suo malcontento per le pressioni subite e la sua forte convinzione nel definirsi uno scultore più che un pittore. La domanda centrale che emerge da questo rapporto tra l’artista e il committente è se sia possibile separare completamente l’opera dal suo autore, se la libertà creativa di Michelangelo fosse davvero totale o se fosse, in parte, condizionata dalle richieste dei mecenati.
Il rapporto tra l’artista e i signori di Firenze, per esempio, era piuttosto ambiguo. Era solo uno giovane studente quando un giorno come altri, mentre scolpiva nel giardino di San Marco, Lorenzo il Magnifico notò il suo immenso talento. Da quel momento in poi, Michelangelo entra nel potente circolo dei Medici, guadagnandosi la loro protezione. Un patto con il diavolo, si potrebbe dire: l’artista è in realtà un convinto repubblicano, e già comincia a covare sentimenti contrastanti per la famiglia che, ogni giorno, acquisisce sempre più potere mirando alla libertà dei fiorentini. La sua opera più famosa, il David, è non solo una magistrale reinterpretazione degli ideali classici in chiave moderna, ma è anche un potente simbolo dell’orgoglio e della libertà di Firenze: come il piccolo eroe David riesce a sconfiggere il gigante tiranno Golia, così la città si distingue come libera repubblica che senza timori sfida i grandi regni europei.
Tuttavia, con i Medici, la minaccia di una deriva autoritaria si fa sempre più reale. Il sacco di Roma del 1527 – in cui il papa Medici Clemente VII, nipote di Lorenzo il Magnifico, è costretto a rifugiarsi a Castel Sant’Angelo – è il pretesto perfetto per i fiorentini per sovvertire il potere dei Medici e ristabilire la Repubblica. Alessandro de’ Medici detto il Moro viene cacciato, Michelangelo si schiera dalla parte dei repubblicani e partecipa attivamente alla difesa della sua città da Carlo V, occupandosi delle fortificazioni e delle misure di difesa. Tuttavia Firenze viene sconfitta, e se nel corso del ‘400 la città era una repubblica (anche se de facto retta dai Medici) nel 1530 diventa ufficialmente una Signoria con la nomina di Alessandro de’ Medici a duca da parte di Clemente VII. Il perdono di Michelangelo da parte del papa non si fa attendere, ma la grazia ha un prezzo: l’artista deve finire le tombe medicee della Sagrestia Nuova di San Lorenzo e dare forma al progetto della Biblioteca Laurenziana. Il pontefice non può rinunciare al più importante e talentuoso artista del tempo, nonostante i suoi ideali politici avversi e il suo tradimento. E senza i Medici, il Buonarroti sapeva che non sarebbe diventato uno degli artisti più famosi della storia, anche al prezzo di dover sacrificare i propri ideali piegandoli alle volontà dei committenti.
Nel 1534 vari motivi, tra cui sentimenti repubblicani di Michelangelo e il suo disgusto per il dominio autoritario del Moro, portano Michelangelo a fuggire da Firenze e recarsi a Roma. Quando nel 1537 il duca viene assassinato, il filosofo Donato Giannotti commissiona all’artista il busto di uno dei più iconici e illustri tirannicidi della storia: Bruto. Ogni scalpellata data per forgiare questo busto suona come una pugnalata alle spalle della famiglia che ha accolto e valorizzato lo scultore toscano. Una piccola grande rivincita politica del Buonarroti, che non toccherà più il suolo della sua patria se non dopo la sua morte, e, ironia della sorte, proprio per mano del più potente autocrate tra i Medici, il duca Cosimo I, che mandò a rubare il suo corpo a Roma per seppellirlo a Firenze. Per Cosimo, probabilmente, le pugnalate del Bruto/Michelangelo non erano risultate così lancinanti: grande era stata la sua arte tanto quanto rese grandi e immortali i Medici.
Michelangelo e il potere presenta un’ampia selezione di opere che permettono di indagare questo rapporto di simbiosi e conflitto. Oltre al Bruto, tra le opere più significative in mostra, troviamo una serie di disegni preparatori che rivelano il processo creativo dell’artista, ma anche il suo continuo dialogo con i desideri e le imposizioni dei suoi committenti. Alla fine, però, è proprio questa tensione tra l’individualità dell’artista e le richieste del committente che ha reso le opere di Michelangelo così straordinarie e, in molti casi, immortali. La sua capacità di infondere nelle sue creazioni un’anima che va oltre la commissione, di sublimare la politica in forme di bellezza senza tempo, è ciò che lo ha consacrato come uno dei più grandi artisti della storia.


