La vita marina 2.0

Il valore della vita marina nella lotta al cambiamento climatico

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Nell’ampia e complessa discussione sul cambiamento climatico troppo spesso viene estromessa l’importanza dell’idrosfera e, in particolar modo, degli oceani per la salute del pianeta. Il 22 aprile scorso, in occasione dell’Earth Day 2025, l’associazione ambientalista italiana Marevivo ha presentato una lista di dieci “hotpoints sul mare” sulle principali urgenze globali per il mondo marino, con lo scopo di proporre una nuova narrativa ecologista rifondata sullo valorizzazione del Pianeta Blu. L’associazione è impegnata dal 1985 nella sensibilizzazione di tutti i temi relativi al mare, alla sua tutela e a rimarcare il suo ruolo fondamentale per la vita sul pianeta Terra. 

Ognuno dei dieci punti è legato a rispettive parole-chiave centrali nel dibattito di oggi e da cui la onlus riparte per proporre un cambio di passo: clima, biodiversità, rifiuti, alimentazione, energia, trasporti, salute, guerre, legislazione e tecnologie. La strategia di fondo è far comprendere quanto la Vita sulla Terra sia interconnessa con lo stato di salute del mare, senza che una componente prevalga su un’altra.   

La prima articolazione del programma verte sul clima: è ribadita non solo la capacità delle acque salate di assorbire il 30% delle emissioni di CO₂ e di produrre più del 50% dell’ossigeno totale del pianeta, ma anche che la temperatura terrestre dipende direttamente dagli oceani e dai mari (che rappresentano il 96,7% dell’acqua totale sulla Terra) grazie al bilanciamento climatico globale. “L’interferenza umana”, continua la società, “sta mettendo a rischio questi equilibri delicati” creati grazie all’autonoma capacità di termoregolazione. Un esempio? Lo scioglimento dei ghiacciai interferisce con le correnti marine interessate a mitigare la temperature delle acque. La salvaguardia delle correnti è fondamentale per mantenere stabili le temperature globali.

Ricoprendo oltre i ⅔ (circa il 71%) della superficie terrestre, la biodiversità al secondo ordine comprende il volume di spazio di mari e oceani che ospita più del 90% delle forme di vita. La pesca eccessiva e la distruzione di habitat marini riducono sensibilmente la biodiversità presente, come le barriere coralline e le mangrovie, con la quasi metà dei loro ecosistemi a rischio di estinzione. I coralli sono particolarmente importanti per la loro azione di protezione e rifugio di molte specie per il 25% della fauna marina, oltre che ad attenuare l’energia delle onde e l’erosione delle coste.

C’è poi la questione dei rifiuti al terzo posto: i mari sono gravemente minacciati dalla presenza di rifiuti (soprattutto plastica, misurata in quantità di oltre 10 milioni di tonnellate all’anno, e presente anche nelle sue forme più microscopiche) per mezzo dei fiumi, e dagli inquinanti, dai liquami civili, industriali e agricoli (come fertilizzanti e pesticidi).

L’alimentazione riguarda lo sfruttamento delle forme di vita commestibili dall’uomo, e che, attualmente, offrono il 30% delle proteine consumate globalmente e rappresenta l’unica popolazione naturale del mondo in grado di dare risorse, senza bisogno di allevamenti ittici. Anche qui la sovrappesca sta pian piano svuotando il mare dei suoi organismi naturali e l’acquacoltura attualmente sfruttata non è sostenibile perché alimentata con farine di pesci catturati in mare.

Il quinto gradino riguarda l’energia, che il mare mette a disposizione tramite le onde, le maree e le correnti in grado di creare energia con le apposite tecnologie, in modo ecocompatibile in quanto fonti pulite. Se si investisse in questo senso, verrebbe meno la nostra dipendenza dalla produzione tramite combustibili fossili. Correlato a questa è il sesto hotpoint che vede i trasporti al proprio centro. Non a caso la stragrande maggioranza delle merci, intorno all’80%, viene trasportata tramite il mare, per un valore totale di 14 mila miliardi di dollari. Il commercio marittimo ha un costo in termini di inquinamento e modifica degli ecosistemi marini a causa di emissioni, elevate cementificazioni e inquinamento acustico.

Il mare è anche associabile alla salute, settimo del nostro elenco. Partendo dal dato che oltre il 30% della popolazione mondiale abita nel raggio di 50 km dal mare, e che il 50% entro i 200 km dalla costa, Marevivo esplicita come il mare sia ottimo per la salute, sia per la qualità dell’aria e dell’acqua marina, e sia per le sostanze benefiche per gli organismi viventi, chiamati composti bioattivi, utili anche per le ricerche farmacologiche nella cura contro importanti malattie.

Le guerre, la legislazione e, infine, la tecnologia sono gli ultimi punti toccati. Negli oceani sono schierate le flotte navali dei vari eserciti nazionali e le armi usate potrebbero danneggiare la natura di quei luoghi. Colpire una nave in mare significa riversare in mare petrolio, sostanze tossiche, ordigni e veleni. Questo anche perché, e qui si arriva alla questione numero nove delle leggi, in acque internazionali non sempre le leggi del mare sono rispettate, a causa di mancanze di controlli e delle maglie larghe delle leggi che consentono di aggirare i vari divieti. Un incremento della presenza e di regole più precise e severe in materia sono l’auspicio richiesto dall’associazione.

L’ultimo punto tocca il tema focale della nostra società, la tecnologia. Quella sfruttata finora sembra tutto tranne che amica del mare: alcuni programmi di IA sono usati per migliorare le prestazioni della pesca con strategie di prelievo sofisticate, e che hanno bisogno dell’acqua del mare per raffreddare i propri impianti. O anche lo sfruttamento del fondale nello smaltimento dei rifiuti, come accade con i satelliti dismessi abbandonati nel cosiddetto “punto Nemo”, o “polo oceanico dell’inaccessibilità”.

Dall’analisi dei dieci hotpoint elaborati da Marevivo emerge con chiarezza che l’ambiente marino non può più essere considerato un comparto separato nell’agenda climatica. La sua funzione va ben oltre la biodiversità o la dimensione estetica: il mare è una vera e propria infrastruttura ecologica globale, attiva nei processi di regolazione termica, scambio gassoso, produzione primaria, stoccaggio di carbonio e trasporto intercontinentale. In questo senso, l’approccio settoriale con cui spesso si affrontano le crisi ambientali rischia di risultare inefficace, se non si riconosce il ruolo sistemico degli ecosistemi marini.

I dati relativi all’assorbimento di CO₂, alla produzione di ossigeno e alla regolazione termica globale impongono una revisione delle priorità nelle politiche di mitigazione e adattamento. Analogamente, la perdita di biodiversità marina – legata alla pesca intensiva, alla distruzione degli habitat costieri e alla contaminazione – costituisce una minaccia strutturale per la resilienza degli ecosistemi, e quindi per la sicurezza alimentare e la stabilità economica.

Sul piano operativo, ciò richiede un rafforzamento dei meccanismi di governance oceanica, un ampliamento delle aree marine protette (oggi ancora limitate in estensione e spesso prive di reali strumenti di controllo), nonché una regolamentazione più stringente delle attività industriali, militari e tecnologiche in mare aperto. Le tecnologie emergenti dovrebbero essere indirizzate alla tutela e al monitoraggio piuttosto che allo sfruttamento, e integrate in una logica di sostenibilità di lungo periodo.

La centralità del mare nelle strategie climatiche e ambientali non è più una questione opzionale. È un prerequisito per qualsiasi agenda di sviluppo sostenibile che voglia essere credibile, efficace e scientificamente fondata. Includere l’oceano come asse portante della transizione ecologica significa dotarsi di una visione realmente sistemica, capace di affrontare la complessità del cambiamento globale con strumenti adeguati e integrati.

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