Una delle critiche che più sovente si rivolgono all’Istruzione in Italia è la carenza di preparazione pratica alla vita adulta. La maggior parte dei ragazzi, una volta terminato il liceo o l’università, si trova a doversi confrontare con dinamiche e questioni che non figurano sui manuali di letteratura o di fisica. Oltre all’educazione alla vita da cittadino, alla consapevolezza della struttura politica e sociale di cui si fa parte, uno spazio meriterebbe anche l’educazione finanziaria. Imparare i rudimenti dei meccanismi del mercato e come proteggere il proprio portafoglio dagli innumerevoli stimoli che la società consumistica ci scaglia addosso, sono competenze fondamentali per facilitare ai ragazzi l’accesso al mondo dei grandi. Di questo abbiamo parlato con Valerio Barsanti, consulente aziendale e CEO della società MCF Consulting, che porta avanti anche un’opera di divulgazione finanziaria attraverso progetti innovativi, oltre alla sua prima attività di finanziamenti per privati e gestione bandi e fondi europei per le aziende che vogliono ottenere finanziamenti per i loro business. Ha ricevuto anche la carica politica per la gestione delle imprese su territorio nazionale, conferita dal Partito Popolare Europeo a Bruxelles.
Indagini varie testimoniano un grave deficit in Italia per quanto riguarda l’educazione finanziaria. Tuttavia, il livello di competenza media non è drammatico. Si può dire che l’Istruzione non dia gli strumenti, e che dunque i cittadini siano costretti ad imparare sul campo, per esperienza?
“Sì, sicuramente. L’educazione finanziaria oggi non è spiegata a scuola, il che è un grandissimo deficit per l’Italia. È ovvio che se non parti dalle basi che si danno da bambino, non potrai affrontare il mondo del commercio, o comunque del lavoro. Il discorso è che non solo non viene insegnata a scuola, ma è stato studiato che l’italiano medio è annoiato dalla materia finanziaria. Dunque non è legata ad un’emozione positiva. Noi di MCF Consulting abbiamo trasformato questa materia “noiosa” in giochi da tavolo più divertenti, in modo tale da poterle dare un senso emotivo positivo. In questo modo ci si può immergere nella mentalità da imprenditore o da lavoratore e gestire al meglio i propri soldi”.
L’Italia è stata nel passato uno dei Paesi con la più alta propensione al risparmio. Come “imparavano” i nostri genitori a gestire la notevole massa di attività finanziarie accumulate?
“In realtà i nostri nonni erano grandi risparmiatori perché erano tempi poveri, in cui inizialmente non c’era una lira. Non dico che barattavano, ma quasi… Quando sei povero e hai un po’ di denaro, chiaramente lo conservi. Soprattutto, investivano nell’immobiliare. Così molti dei nostri genitori si sono ritrovati con beni immobili che hanno potuto affittare o vendere, ed è ripartita l’economia. Ora sta a noi, la generazione attuale, ricominciare da capo e capire come tornare al risparmio, che è la prima fonte di guadagno. La maggior parte dei milionari risparmiano anche sul centesimo. Questa è una grande lezione, perché conservare e mantenere più denaro in tasca ti permette di utilizzarlo in maniera diversa, come appunto gli investimenti”.
Oggi non si sente la necessità di risparmiare?
“Per come la vedo io, la società di oggi è schizofrenogenica, perché ci sono troppi stimoli all’acquisto. Gli oggetti che compriamo hanno una vita brevissima, molte persone cambiano telefono ogni due anni. La gente sperpera i propri soldi comprando cose inutili su Amazon o nei negozietti, e una volta tornata a casa le mette da parte. Chi si ritrova con 1500 euro al mese – purtroppo spesso anche di meno – li spende senza sapere nemmeno come. Se si imparasse a dividere le proprie entrate tra le varie spese che si devono affrontare e capire dove escono i miei soldi, si riuscirebbe ad avere un risparmio anche del 30%. Questo perché sapere di aver speso in settori inutili è doloroso psicologicamente, e così facendo si riesce a controllare meglio l’emotività. Uno dei modi per imparare a risparmiare è dividere i propri fondi in “barattoli”: ad esempio, il 65% per le necessità (spesa, bollette…), 10% in investimenti, come un piano pensionistico, 10% per la propria formazione, 10% in un conto extra per le spese superflue, e un eventuale 5% per la beneficenza, che però dipende da quanta disponibilità si ha. Sconsiglierei la beneficenza monetaria a chi guadagna al di sotto dei 2000 euro”.
Tra i tuoi clienti che riscontri hai rispetto alle conoscenze che possiedono?
“Alcuni sono molto bravi e spesso vengono da una famiglia di imprenditori, ma la maggior parte si sono improvvisati tali. Questa non è una colpa, nessuno nasce imparato. Molti sono stanchi di fare lavori da dipendenti, hanno un’idea oppure vogliono semplicemente creare una propria attività, ma nessuno gli insegna a fare gli imprenditori. Oggi ci sono pochissime scuole per imprenditori. L’università non basta”.
Dove e come pensi che si dovrebbe agire? Si potrebbe pensare a un coinvolgimento diretto, mediante seminari, di categorie professionali quali promotori finanziari, bancari, dottori commercialisti?
“Sì, ma soprattutto imprenditori. Con tutto il rispetto per bancari e commercialisti, l’imprenditore si deve fare da solo. Se vuoi gestire al meglio le tue finanze è meglio mettere come insegnanti persone che gestiscono tutti i giorni il denaro, come i commercialisti. Ma se invece il tuo intento è diventare imprenditore, allora bisogna affidarsi ad altri imprenditori. Io almeno la penso così”.
Nell’ambito scolastico, pensi siano sufficienti corsi paralleli oppure che sia necessario l’inserimento della materia nei programmi?
“Credo che l’educazione finanziaria debba entrare nei programmi scolastici. Non insegnata con la lezione frontale classica, ma con delle simulazioni di commercio: fare dibattiti sul mercato, delle indagini… Fare interessare gli alunni al fine di renderli partecipi. Con la mia azienda abbiamo fatto anche delle lezioni in alcune scuole superiori a Cosenza, e c’era un’insegnante che nei momenti di pausa delle lezioni creava delle simulazioni in cui ogni studente aveva una sua attività, e uno di loro doveva spendere un certo budget tra i vari servizi proposti. È esattamente ciò a cui mi riferisco”.