Intervista a Luca Sommi: “Questo mondo va ripensato. Nei giovani c’è desiderio di reazione”

Il giornalista si è raccontato e si è espresso sul ruolo della cultura nella società odierna.

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Un mondo in crisi e un governo che non tutela i cittadini. Un solo strumento per affrontare queste avversità: la cultura. È questo il nucleo della nostra intervista a Luca Sommi, giornalista del Fatto Quotidiano, conduttore televisivo, docente all’Università di Parma, critico che si occupa di arte e letteratura. Un messaggio rivolto principalmente ai giovani che erediteranno questo mondo, ma anche a coloro che in questo momento tengono in mano le briglie della società.  

Da anni su YouTube porta contenuti di divulgazione letteraria e artistica, oltre a riflessioni su tempi ed eventi attuali. Com’è nato questo suo progetto? 

“Non ho costruito un progetto per i social, sono io che sono così e mi occupo di queste cose: mi occupo di arte, letteratura, politica, e dunque mi è sembrato naturale farlo sui social. Che poi non siano materie che diventino virali, lo so benissimo. Se domani cominciassi a parlare di temi più bassi avrei più possibilità. Ma quelli sono i miei temi, io sono incline a parlare di ciò che conosco, e a me interessano la letteratura, l’arte e la politica. Sono due anime del mio stesso modo di lavorare. Da una parte sono su un fronte di combattimento quotidiano, che è quello politico, dall’altra sono su un fronte di approfondimento culturale che ci dà linfa per capire la contemporaneità. Queste cose le ho trasferite sui social, e sembra che le mie modalità di raccontarle abbiano avuto una presa anche lì, perché tendenzialmente sono materie che faticano a circolare. Evidentemente ho trovato una chiave di racconto che piace agli utenti, in virtù anche della lunghezza o brevità delle cose. A volte sono video brevi, altre volte ho fatto anche delle dirette letterarie di un’ora”. 

Secondo lei, oggi che posizione occupa la cultura nel nostro paese, sia tra la popolazione – in particolare la fascia giovanile – che nel governo? 

“Partiamo dai governi, la politica in genere difficilmente esorta – se non formalmente – a fare un approfondimento culturale. Perché la cultura cos’è? È studiare quello che i grandi uomini e le grandi donne hanno fatto in passato per migliorare la nostra vita.  Si dice che i grandi filosofi, i grandi pensatori e i grandi artisti hanno cercato di migliorare il proprio pezzettino di terra. Se noi mettiamo in fila tutti coloro che hanno cercato di migliorare il mondo con la loro opera e la loro parola, riusciamo a costruire un’autonomia critica dentro di noi che ci aiuta a discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato nella nostra vita. Il potere è un po’ refrattario affinché la popolazione sia troppo istruita, perché se così fosse capirebbe le mancanze della politica. Per quanto riguarda la popolazione, c’è un aspetto che è congenito nella cultura, ovvero il fatto che ha bisogno di concentrazione e di approfondimento. Bisogna sedersi, aprire un libro, ragionare e riflettere su ciò che si è letto, farlo proprio e cercare di interpretare le cose del proprio presente anche con le parole del passato. Oggi siamo in un momento in cui la velocità ha preso il sopravvento rispetto alla profondità. Andiamo velocissimi perché i social sono veloci, perché i reel di TikTok li scrolli dopo cinque secondi se una cosa ti annoia. Non siamo più abituati ai tempi lenti di cui ha bisogno la cultura. La bellezza estetica la puoi riconoscere inequivocabilmente, sia che tu sia istruito sia che tu non lo sia, e quando riconosci qualcosa che per te è bello, ciò avviene in modo ineffabile: è bello, punto. La bellezza etica, invece, ha bisogno di qualche passo in più, di prendere per mano una questione e portarla avanti. La Divina Commedia è tanto bella quanto l’Assunta di Tiziano o la Monna Lisa di Leonardo, però queste ci danno piacere indipendentemente dalla conoscenza che ne abbiamo. La Commedia non ci dà piacere immediatamente, però dico ai giovani che, se ci si prende la briga di fare il passo, si entra in un mondo meraviglioso dal quale non si uscirà mai più. Vivere senza la cultura è vivere una vita sola. Questo lo diceva Umberto Eco in una lettera su L’Espresso che anni fa mandò a suo nipote, il quale si ostinava a giocare solo ai Pokemon senza aprire un libro. Lui gli scrisse che poteva giocarci anche tutta la vita, perché non c’è niente di male, ma che se avesse continuato a fare solo quello senza leggere neanche un libro, avrebbe vissuto una vita sola, la sua. Al contrario, con i libri avrebbe vissuto tante altre vite e sarebbe stato più ricco. Si tratta di fare quel passettino in più per capire che poi si apre un mondo meraviglioso. I ragazzi dovrebbero sapere che il potere non è l’uomo che ha, ma l’uomo che sa”.  

“Bellezza” è anche sapersi adattare e rispettare i tempi naturali dell’ambiente che ci circonda. Come si può trasmettere questo sentimento alle ultime generazioni, disabituate all’attesa? 

“Innanzitutto, ricordando che tutti i diritti che i ragazzi hanno non sono piovuti dal cielo, ma c’è stato qualcuno che ha dato anche la vita per averli. Bisogna sempre lottare per i propri diritti perché domani può nascere qualcuno che te li toglie, e per farlo non servono armi o danari, ma soltanto avere una coscienza, una maturità critica. Se tutti avessero una maturità critica sulle cose della vita, il mondo andrebbe meglio. Il mondo che stiamo vivendo, e che voi ragazzi state ereditando, non funziona più, e i giovani questo lo hanno capito. È un mondo che è stato costruito nella seconda rivoluzione industriale, quando c’erano neanche un miliardo di persone sul pianeta. Si decise di usare il petrolio per spostarsi, il gas per riscaldarsi e la proteina animale per nutrirsi. Oggi stiamo vivendo un progresso, abbiamo conoscenza delle cose e sappiamo che potremmo spostarci e riscaldarci diversamente, perché quelle fonti sono esauribili. La transizione ecologica serve perché nella società nuova – che invece di un miliardo di persone ne ha otto – non c’è più petrolio, gas e proteina animale per tutti, se non andando a seviziare il pianeta. Allora con la conoscenza, che è l’unico strumento di libertà, si intraprendono i percorsi di progresso. Il progresso non è lo sviluppo, diceva bene Pasolini che il primo sono tutte quelle azioni tese affinché tutti abbiano i diritti, mentre il secondo è la ricerca delle cose superflue. Noi siamo in pieno sviluppo, ma siamo ancora arretrati sotto il profilo del progresso. Attraverso la conoscenza abbiamo la libertà di fare queste svolte epocali, che adesso sono necessarie più che mai. Alla metà di questo secolo saremo nove miliardi, e le risorse che tutti vogliono non ci saranno più. Quindi bisogna per forza ripensare il mondo, e per farlo bisogna leggere, approfondire e conoscere”.  

Questo è un compito che dovrebbe assolvere l’istruzione, oggi in condizioni pressoché disastrose. Questa crisi è solo una questione di fondi o c’è dell’altro? 

“Non è solo una questione di soldi. Nelle democrazie, cioè le società che noi siamo abituati a vivere, il patto di convivenza è molto semplice, si tratta di un patto sociale tra i cittadini e le istituzioni. I cittadini danno metà del proprio stipendio allo Stato, e in cambio questo li deve sollevare dalle paure primarie: se mi ammalo mi curi all’ospedale, se mio figlio va a scuola lo istruisci e se perdo il lavoro mi dai una mano, perché fino a ieri ho pagato le tasse. Se invece, pagando le tasse, all’ospedale sto in corsia su una barella per due giorni, mio figlio a scuola non lo istruiscono per vari motivi (perché i professori sono sottopagati, perché il ciclo scolastico è strutturato su una società che non c’è più…), perdo il lavoro e, nonostante abbia pagato le tasse fino al giorno prima, vengo lasciato da solo, si rompe il patto sociale. Quando si rompe il patto sociale cosa succede? Cosa può fare il cittadino per “vendicarsi” nei confronti dello Stato? Tentare di evadere le tasse, se ne ha la possibilità (infatti l’Italia è uno dei paesi che ha l’evasione fiscale più alta d’Europa), e non votare, dunque disconoscere le istituzioni. Tutto questo dovrebbe indurci a riflettere sul fatto che il patto sociale andrebbe tenuto ben saldo. Lo Stato non deve garantire la felicità. In alcune costituzioni questa parola c’è, ad esempio in quella americana. Nella costituzione italiana giustamente non compare, perché la felicità è affare personale. Lo Stato deve semplicemente mettere tutti nelle condizioni di poter ambire alla propria felicità. Un ragazzino che nasce in una famiglia sfortunata avrà un orizzonte ristretto. Se invece uno nasce in una famiglia ricca, di cultura, con persone che hanno una rettitudine morale, allora quel ragazzo avrà un orizzonte sterminato. Qui interviene lo Stato, che deve appianare le diseguaglianze. Bisognerebbe riflettere su questi temi e seguire il solco della Costituzione, che è perfetta, dentro ha tutte queste cose. Bisognerebbe solo applicarle”. 

Ci sono stati casi di ostilità della classe dirigente verso gli insegnanti. Christian Raimo è soltanto quello più noto. Lei cosa pensa del provvedimento preso nei suoi confronti? 

“Io ho come linea guida una frase che è stata attribuita a Voltaire, anche se non era sua, che dice: “Non condivido niente di quello che tu dici, ma darei la vita affinché tu lo possa esprimere”. Per me la società perfetta è quella dove ognuno può esprimere la propria opinione. La Costituzione quando è nata è stata una rivoluzione definita “gentile”, perché ci ha riconosciuto dei diritti che prima non ci erano riconosciuti. Il 31 dicembre 1947 eravamo sudditi di una monarchia. Il 1° gennaio 1948 eravamo cittadini di una repubblica. La differenza tra i due status è che il suddito ha i diritti in virtù della gentilezza del sovrano, che una mattina si sveglia e glieli può togliere, come la mattina dopo glieli può restituire. I diritti di uguaglianza e di giustizia vengono dati secondo il suo arbitrio. Nella repubblica, invece, la Costituzione dice che quei diritti li riconosce e li tutela. Una cosa si può riconoscere quando esiste già. È come se la Costituzione ci dicesse che riconosce la nostra libertà di parola, di espressione, il nostro diritto ad avere le stesse opportunità degli altri, come se fossero frutto di un diritto naturale. La Costituzione si limita a riconoscerli e a proteggerli, ma questi erano preesistenti ad essa. Tra questi c’è il diritto di espressione, riguardo all’episodio che hai citato. Io vorrei vivere in una società dove ognuno possa esprimere la propria opinione, dove ci sono però dei confini che sono quelli del Codice penale. Nel caso di Raimo mi sembra che si tratti di un professore che ha espresso una sua idea ed è stato sospeso per questo. Magari avrà usato i verbi sbagliati, però in un paese bisogna essere liberi di criticare finché si vuole un ministro della Repubblica, ovviamente sempre nei limiti del Codice penale”. 

Si parla troppo spesso dei difetti dei giovani. Mi dice degli aspetti positivi che lei vi riscontra? 

“Io non sono tra quelli che critica i giovani perché a mio tempo sono stato criticato da quelli più vecchi di me. È un esercizio che viene fatto di generazione in generazione perché non si riconoscono i codici di quella successiva. Quando noi ascoltavamo i Rolling Stones i nonni ci dicevano “Ma cosa ti ascolti?”, quindi sarebbe meglio non giudicare. Inoltre, io insegno all’università e ho un’idea molto positiva dei ragazzi. Non è vero che siete piegati sul cellulare in attesa di non far nulla, questi sono dei casi che però si trovano in ogni età. Ci sono anche miei coetanei che stanno tutto il giorno sul cellulare, non pensano a nulla e non aprono un libro. Vedo nei ragazzi una grande curiosità di scoprire il mondo, e la vostra generazione ha più possibilità rispetto a quelle passate, ad esempio grazie ai voli low cost. L’altra cosa che noto è il desiderio di reazione rispetto ad un mondo che funziona in un modo che non è corretto, e dunque fate bene a ribellarvi a questo modo di vivere ingiusto. Perché devo lavorare dieci ore al giorno per tutta la vita, per guadagnare niente e far sì che guadagnino tutto poche persone? In questo momento ci sono sedici uomini che posseggono il patrimonio di mezza popolazione mondiale. Questo è un mondo che non è più sostenibile. Io ho l’impressione che voi giovani l’abbiate capito, e che volete rivoluzionarlo. Volete giustamente lavorare meno e vivere di più, lavorare meno ma anche meglio. Quando si dice che i giovani non hanno voglia di lavorare si dice una sciocchezza: neanch’io avrei voglia di andare a lavorare nei campi, tant’è che mio nonno e mia nonna si sono spaccati la schiena affinché io non fossi costretto a farlo. Erano felici che non fossi dovuto andare a coltivare la terra e che avessi studiato. Dunque, dicevo, non è la quantità che fa la qualità di un lavoro. Sono abbastanza fiducioso, vado controcorrente rispetto a certi che vedono tutto nero. Anche perché il nero lo vedo se mi guardo dietro”.

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