Referendum: un istituto storico di democrazia

Alla vigila del voto per ben 5 referendum su lavoro e cittadinanza, tra favorevoli, disfattisti e astensionisti, vediamo che valore ha oggi votare ai referendum.

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L’8 e il 9 giugno l’Italia è chiamata ad esprimere il proprio parere su cinque quesiti referendari.

Ancora una volta si chiede ai cittadini e alle cittadine italiani un secco “Sì” o “No” su questioni centrali per il prosieguo della vita sociale, culturale ed economica del Paese. Un voto per cambiare le struttura legislativa, là dove non arriva il governo, ma può arrivare la volontà popolare.

Eppure il Paese appare quasi stanco e distante di fronte a queste votazioni e chi le propone e le sostiene, deve farlo a gran voce, coinvolgendo piazze e platee, non per ottenere le firme referendarie, ma per convincere le persone a recarsi alle urne. Pare strano ma una delle difficoltà maggiori che ancora oggi si incontra è quella di far comprendere agli aventi diritto l’importanza del quorum e che il voto referendario è abrogativo, quindi il “Sì” è per cambiare e il “No” è per conservare.

Quattro dei quesiti in questione, riguardano norme importanti per i diritti dei lavoratori, la tutela del lavoro dipendente e della salute sul lavoro e il quinto riguarda il diritto alla cittadinanza italiana per gli stranieri residenti.

Ecco quali sono:

1.Contratto di lavoro a tutele crescenti – Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione. Questo quesito riguarda alcuni articoli del Jobs Act circa licenziamento e reintegro. Con la vigente legge, ad oggi nelle imprese con più di 15 dipendenti, un lavoratore o una lavoratrice con contratto a tempo indeterminato può essere licenziato/a senza giustificato motivo e gli stessi non possono reclamare il diritto al reintegro con un ricorso giuridico, poiché è facoltà del datore di lavoro di decidere senza spiegazioni di interrompere il rapporto contrattuale col lavoratore. L’abrogazione di questa parte del Jobs Act consentirebbe al lavoratore azioni giuridiche contro il licenziamento e per il reintegro nel suo posto di lavoro, se questo si dimostra illegittimo.

2.Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità: abrogazione parziale. Ad oggi nelle imprese con meno di 16 lavoratori, in caso di licenziamento illegittimo, il risarcimento per lavoratori e lavoratrici, non può superare le sei mensilità. L’abrogazione, in questo caso parziale, della vigente legislazione, eliminerebbe il tetto massimo di sei mesi e permetterebbe ai ricorrenti di ottenere risarcimenti maggiori dalle imprese.

3.Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi. Il terzo quesito affronta la questione dei contratti a termine, per il cosiddetto lavoro precario. Attualmente i contratti di lavoro a tempo determinato possono essere prorogati fino a 12 mesi, senza alcuna specifica che giustifichi la necessità del lavoro temporaneo. L’abrogazione delle norme vigenti in materia, porterebbe alla reintroduzione dell’obbligo di causale, nei i contratti di lavoro fino a 12 mesi, per evitare l’abuso di questa modalità contrattuale e dare qualche garanzia in più a chi è sotto contratto temporaneo.

4.Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione”. Questo quesito è inerente alla sicurezza e alla salute sul lavoro. Attualmente la norma prevede che in caso di infortunio o danni alla salute di lavoratore o lavoratrice, presso ditte appaltatrici, la responsabilità riguarda solo la ditta appaltatrice. Con l’abrogazione di questa norma si estenderebbe la responsabilità anche all’impresa appaltante.

5.Cittadinanza italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana”. Con questo quesito si passa ad affrontare un tema completamente diverso, che riguarda gli stranieri residenti in Italia. Dal 1992 per i cittadini e le cittadine stranieri è necessaria la residenza legale in Italia, per non meno di dieci anni, per poter ottenere la cittadinanza italiana. L’abrogazione porterebbe la riduzione di questa tempistica da dieci a cinque anni. Tutti gli altri requisiti necessari all’ottenimento della cittadinanza, quali ad esempio la conoscenza della lingua italiana, un congruo reddito dimostrabile, l’essere incensurati, l’essere in regola con il fisco, resterebbero immutati.

Questi temi pongono la cittadinanza davanti a scelte che la coinvolgono direttamente e non dovrebbero lasciare indifferenti. L’esito della votazione può portare a svolte significative o consolidare la situazione già in essere.

Ciò premesso e illustrato molti, da molto tempo si interrogano sulla validità e addirittura sulla necessità di questo storico istituto democratico, che è il referendum. Questa forma di democrazia diretta, dal basso, non sempre è compresa e accettata, per scetticismo, per sfiducia o per convenienza politica. La questione del quorum, ossia la necessità che il 50% più uno si presenti alle urne, complica ulteriormente il cammino dei referendum.

Tralasciando le imbarazzanti dichiarazioni del Presidente del Senato, seconda carica dello Stato, che invitando i cittadini ad astenersi dal voto è incappato in un reato penale, del quale difficilmente subirà le reali conseguenze, è giusto ripercorrere la storia del referendum così strettamente legata alla storia della nostra Repubblica, per comprendere meglio.

L’Italia rinasce come Repubblica democratica, con una sua Costituzione, il 2 giugno 1946 proprio grazie ad un referendum e per la prima volta anche le italiane sono chiamate al voto, dando così inizio al nuovo corso dell’Italia.

Ma molti altri cambiamenti tanto legislativi, quanto culturali e fondamentali nel nostro percorso di aggiornamento socio-politico, che oggi sono parte integrante non solo della nostra legislazione, ma anche della nostra vita quotidiana, sono passati attraverso il referendum.

Nel maggio del 1974 il popolo italiano votò il referendum per ottenere l’istituto del divorzio, con la vittoria del “Sì”, una rivoluzione sociale epocale, ottenuta nonostante le resistenze di derive culturali antiquate, la questione morale e le ingerenze della Chiesa cattolica.

Sempre con un referendum, a maggio del 1978, dopo anni di battaglie ancora una volta culturali, morali e religiose, si ottenne il diritto all’interruzione di gravidanza, o aborto. Tale diritto acquisito, fu difeso e riconfermato proprio con l’esito di un altro referendum abrogativo, voluto dagli anti-abortisti, nel maggio 1981, dove vi fu la vittoria del “No”, che lasciò le cose invariate, come sono ancora oggi, riconfermando la volontà popolare della maggioranza.

Altri referendum importanti hanno segnato altrettante tappe della nostra storia repubblicana: il referendum del giugno 1990 contro la caccia, che vinse portando a forti limitazioni normative sulla caccia, a garanzia della fauna e anche della salute pubblica, considerati i numerosi incidenti di caccia spesso drammatici, che si verificavano annualmente. In questa tornata fu incluso anche il quesito referendario, contro l’uso dei pesticidi, che portò a nuove normative di divieto, a favore della salute pubblica e dell’ambiente, di cui beneficiamo ancora oggi.

Nel giugno del 2011 si votò un altro storico referendum, quello sull’acqua pubblica, per garantire ai cittadini il diritto ad un bene primario e vitale e il voto popolare dette ragione a questa questione di fondamentale valore.

Insomma appare evidente che tra scetticismo, disfattismo e “gite al mare”, molte delle leggi più importanti per l’emancipazione e la tutela dei diritti nel nostro Paese, sono state fatte ed esistono solo grazie all’istituto del referendum, molto più che non ai nostri tanti Governi, e che senza di esso ma soprattutto senza la partecipazione popolare, con il nostro voto, non esisterebbero.

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