Banca Monte dei Paschi di Siena: cronaca di una risurrezione da dimostrare.

Come può il più antico Banco del mondo diventare una sorta di buco nero?

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Con la crisi del 2008 abbiamo sperimentato per la prima volta fallimenti di istituti di credito con esposizione internazionale, le quali hanno spesso inghiottito anche risparmi di persone comuni, le quali avevano magari accettato di investire i propri risparmi in titoli consigliati da chi, nelle stesse filiali dove depositavano i propri risparmi, promettevano utili e benessere economico.

Sarebbe ingiusto dire che fossero menzogne, che fosse tutta una truffa, perché la bolla dei mutui Subprime che avrebbe fatto crollare il sistema bancario americano può essere considerata imprevedibile ai più. Tuttavia, la crisi del 2008 ha di sicuro fatto aprire gli occhi alle Banche centrali di tutto il mondo, che hanno infatti attuato politiche mirate a rafforzare l’economia interna e i meccanismi di difesa.

In Europa, il funzionamento di questo cambiamento paradigmatico è stato poi messo a dura prova negli anni a seguire, e possiamo essere certi che, in qualche modo, abbia retto abbastanza bene, tranne forse proprio nel primo decennio di applicazione. È difficile dire se la Crisi di Banca Monte dei Paschi di Siena sia stata indotta proprio da questo, o se l’acquisizione di Banca Antonveneta da sola abbia portato in acque non sicure la navigazione dell’Istituto; tuttavia, proviamo a vedere cosa si ruppe.

L’acquisizione della Banca Padana per 9 miliardi e la crisi economica sono state dei macigni che, tra il 2007 e il 2012, hanno visto il sogno di una crescita nazionale diventare un incubo. L’accordo del 2007 con Banco Santander per acquisire Antonveneta a 9 miliardi di euro sembrava essere una occasione formidabile, che non portò nemmeno grandi preoccupazioni all’inizio, per quanto l’operazione fosse resa sospetta da un’offerta alla banca spagnola che avrebbe quasi raddoppiato il valore pagato pochi mesi prima quando Santander ne prese il controllo. I sospetti sull’operazione vennero fuori in quanto né il Governo Italiano, né la controllante di MPS – ossia Fondazione MPS – erano stati, a quanto pare, informati dell’operazione, svolta poi con l’aiuto di JP Morgan e di un Bond convertibile, a coprire un’operazione inusualmente “cash”.

Il Comitato Europeo di Supervisione, in quegli anni molto più attento ad eventuali segnali sinistri sulla tenuta degli istituti di credito, promosse senza troppa remora MPS allo Stress Test del 2010, e solo un anno dopo la stessa banca senese veniva messa ai piedi del podio delle banche più grandi d’Italia, nonostante un passivo a bilancio vicino ai 5 miliardi. L’ingresso di nomi importanti nel Consiglio d’Amministrazione, come l’ex UniCredit Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, sembravano essere un passo per continuare a scalare la classifica.

Tuttavia, il 2012 segna l’inizio del tramonto: anche a causa di operazioni poco ortodosse con Nomura e Deutsche Bank, le quali si rivelarono foriere di perdite ingenti, un riassetto fu varato per portare una riduzione delle voci di spesa. Questo, senza troppi giri di parole, significava esuberi in un periodo già di forte difficoltà per l’economia italiana, alle prese con una disoccupazione preoccupante e un debito pubblico che faceva storcere il naso a Bruxelles. A questo, si univa la richiesta di liquidità allo Stato per circa 3 miliardi e mezzo, al fine di rispondere all’enorme debito che si era prodotto anche con l’acquisizione di Antonveneta. Tutto questo portò a due aumenti di capitale, rispettivamente di 5 e 3 miliardi di euro, nel giro di un anno, promossi per cercare di rispondere ai risultati negativi in borsa, ai costi fuori controllo, e soprattutto alla degradazione della  banca dovuto anche ai fallimenti degli stress test della BCE.

Profumo e Viola si dimettono, anche a causa dell’attenzione mediatica che si andò a concentrare sulla Banca, baratro di piccoli investitori che avevano subito ingenti perdite con i vari aumenti di capitale e la conversione delle obbligazioni, spesso vendute senza informare gli acquirenti della loro convertibilità.

Un altro aumento di capitale, il terzo in tre anni, anche questo da 5 miliardi, verrà annunciato dal CdA come il primo passo verso la stabilità della banca; peccato che, a questa ulteriore diluzione del capitale azionario, non parteciperà quasi nessuno, costringendo il Governo Italiano a subentrare per non lasciare fallire lo storico istituto. L’aumento di capitale fu rivisto al rialzo sotto richiesta della BCE a 8,8 miliardi, e finalmente andò a buon fine, la banca diventò un asset statale, con una partecipazione del Ministero dell’Economia e delle finanze che arrivò al 68%.

La buona notizia è arrivata, fortunatamente con il post-Covid: il rientro del debito è cominciato dal 2023, dopo anni di revisione dei conti economici, ma anche con l’aiuto dei tassi d’interesse alti che hanno caratterizzato gli anni dal 2021 al 2023 e reso il settore bancario profittevole come non avveniva da molti anni. La mancanza di investimenti esteri, soprattutto in Russia – grande problema che ha dovuto fronteggiare, ad esempio, UniCredit – ha riportato il titolo ad essere solido, sebbene ancora lontano dai rendimenti di competitor nazionali delle stesse dimensioni. Anche la partecipazione statale, scesa negli ultimi due anni al di sotto del 12% va vista di buon occhio: sebbene fosse stata già decisa con la BCE nel 2017, quando venne salvata la banca, non si può che constatare la buona riuscita dell’operazione, avvenuta gradualmente, senza creare scossoni negativi, andando anzi a ravvivare la situazione finanziaria italiana con le operazioni di Banco BPM, Anima e UniCredit, tra acquisti di quote e tentativi di acquisizione che si sono andate a incrociare.

I processi che scaturirono dallo scandalo MPS sono stati due, il primo si tenne a Siena nel 2014, il secondo a Milano cinque anni dopo. Investitori di tutta Italia si costituirono come parte civile, motivati dalle perdite integrali dei loro investimenti, e le sentenze di primo grado sembrarono dare ragione alle parti lese: se Mussari, Vigni e Baldassari, rispettivamente Presidente, Direttore Generale e Capo dell’Area Finanziaria durante il periodo di acquisizione di Antonveneta, si videro condannati a 3 anni e 6 mesi al primo filone, andò peggio durante quello di Milano, dove le condanne furono ben più severe per i reati commessi. Tuttavia, in una storia tutta italiana, la Corte d’Appello ha ribaltato un verdetto che sembrava sacrosanto, assolvendo tutti gli imputati per insussistenza dei fatti, come poi confermato dalla Cassazione a ottobre 2023.

La grande occasione di creare un precedente per operazioni rischiose è stata quindi spazzata via, così come la speranza di ristorare chi aveva perso risparmi di una vita in investimenti che non poteva mai prevedere quanto fossero tossici.

Sebbene vi sia stata una grande ripresa del titolo Banca Monte dei Paschi di Siena, che oggi è tornato a essere quotato liberamente nei listini di Piazza Affari, restano molte ferite che difficilmente verranno risanate. I vari processi che hanno visto figure apicali di MPS seduti al Banco degli Imputati, hanno prodotto sentenze di condanna mai scontate, dato il dietrofront in appello. Allo stesso modo, una storia triste è anche quella della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, oggi inesistente ma una volta controllante della Banca e molto impegnata nel sociale all’interno della città toscana. Moltissime opere sociali erano infatti sostenute dagli utili della Fondazione, all’epoca azionista di maggioranza di MPS stessa e oggi pressoché inesistente.

Ad oggi, la Banca sembra in grado di andare avanti con le proprie energie, producendo utili da due anni e avendo anche ricominciato a distribuire dividendi, cosa che non è avvenuta sin dal 2010. Eppure, un qualcosa di sinistro aleggia sopra la Banca stessa, e ogni operazione riceve ancora un’attenzione al di sopra della media. Le questioni che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio di MPS hanno avuto un loro peso anche durante i primi mesi del 2025, con il terremoto scaturito dall’offerta pubblica d’acquisto presentata per Mediobanca. I 13,3 miliardi messi sul tavolo non hanno però fatto piacere al consiglio d’amministrazione della Banca milanese, il quale ha respinto l’offerta, ritenendola priva di una solida logica industriale e finanziaria. Inoltre, Mediobanca ha espresso preoccupazioni riguardo ai crediti deteriorati e ai rischi legali associati a MPS, che continuano ad avere il loro peso anche con la chiusura dei processi. C’è chi in questa offerta ci vede Francesco Gaetano Caltagirone, imprenditore che già detiene quote di BPM e Anima Holding, e che potrebbe voler essere il principale attore nella creazione di un polo bancario italiano molto forte e ben visto sia dal Governo che dall’Unione Europea, alle prese con imponenti sfide culminate con il raffreddamento dei legami con Washington.

La vera domanda è però se davvero si può pensare di mettere basi solide sotto una struttura che ha dimostrato grande instabilità come Monte dei Paschi di Siena, anche semplicemente andando a vedere la credibilità che questa potrà avere nel contesto internazionale con un passato recente del genere.

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