Gaza. La morte degli innocenti e il risveglio delle coscienze

Come si dice, per risalire bisogna toccare il fondo. La nostra civiltà, ormai anestetizzata, ha avuto bisogno di un sovraccarico di orrori disumano dalla striscia di Gaza, per riscoprire la propria umanità. La reazione dalla gente comune ai vip.

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La tragedia palestinese ad opera di Israele e del suo Primo Ministro Benjamin Netanyahu, ha raggiunto livelli sempre più spaventosi di atrocità. Si è andati ben oltre ogni più feroce logica di guerra. Del resto quella sul territorio palestinese non è una guerra, poiché non c’è guerra quando c’è un solo esercito che combatte ed invade. Le ragioni dello Stato aggredito che sta “solo” reagendo, ormai non regge più.

Che lo si chiami massacro, sterminio, carneficina o genocidio, non ha importanza. Non è certo la parola che importa e non è con la terminologia più o meno calzante o mainstream, che la sostanza dei fatti cambia.

Gaza di fatto non esiste più. È stata irrimediabilmente rasa al suolo, ridotta prima in macerie e adesso in polvere. La sua popolazione, quello che ne rimane, è stremata. Tutti hanno perso tutto. Nessuno ha più una casa, una scuola, un posto di lavoro, un ospedale, un paio di mutante, un pezzo di pane. L’esercito israeliano non dà tregua. Bombarda incessantemente dall’8 ottobre 2023. E ciò che non fa con i bombardamenti, procede a farlo capillarmente, con le truppe che marciano sul territorio palestinese, addestrate a colpire civili inermi e a dare fuoco a qualunque manufatto superi i 50cm di altezza.

In questi diciannove mesi le morti accertate hanno superato le 50.000 persone, di cui la maggior parte civili e di questi oltre 17.000 sono o meglio erano bambini.

Questo sedicente conflitto vanta alcuni record inquietanti: 230 giornalisti uccisi, tutti palestinesi, più di quelli delle due guerre mondiali messe insieme. Altro record macabro è quello del maggior numero di civili uccisi rispetto ai militari, primato che apparteneva fino ad oggi alla Siria.

Tutto ciò è andato avanti nel silenzio complice del resto del mondo. Il Presidente Israeliano Netanyahu ha mantenuto l’amicizia e l’appoggio di tutti i capi di Stato e di Governo dell’occidente, nonostante la Corte Penale Internazionale dell’Aia avesse emesso un mandato di cattura contro di lui ed il suo ex-ministro della difesa Gallant, per crimini di guerra e contro l’umanità.

La maggior parte dei Governi si sono fatti tutti, più o meno apertamente, garantisti di Netanyahu e del suo progetto di invasione totale e deportazione del popolo palestinese, spesso anche con l’appoggio delle opposizioni. E soprattutto hanno continuato a fare affari con Israele.

Donald Trump prima ancora di insediarsi alla Casa Bianca, aveva già dichiarato a Tel Aviv il suo completo ed incondizionato appoggio all’attacco reiterato contro la Palestina. La UE ha fatto altrettanto e il Governo italiano non è stato da meno.

Intanto la strage o genocidio che dir si voglia, continuava, tra l’ambiguità dell’informazione e l’indifferenza generale. Sul web si mescolavano le immagini patinate di sorrisi e strette di mano dei politici, in eleganti abiti d’occasione, tra poltrone dorate e tappeti rossi, con quelle di bambini mutila, salme ammonticchiate e macerie. Ma la crudeltà militare non si è più limitata a bombardamenti e azioni di guerriglia da terra. Hanno cominciato a bloccare ogni aiuto umanitario, negando le cure mediche e affamando un intero popolo. Hanno distrutto tutti gli ospedali compresi quelli da campo. Hanno sparato contro le ambulanze e sulle persone che vanno a prendere le poche provviste alimentari che, dopo mesi di attesa, l’esercito israeliano ha deciso di far entrare, fino ad arrivare a giorni recenti, quando hanno sparato persino contro una delegazione diplomatica di 32 rappresentanti.

Quei pochi che fin qui avevano fatto denuncia, provato a parlarne in pubblico, a fare controinformazione, o a manifestare, erano stati ignorati, isolati, messi a tacere in malo modo, quando non ridicolizzati. Il buon senso portava a chiedersi quando e come la società civile si sarebbe rivoltata in massa, contro tutto questo.

Così dal basso, un corteo dopo l’altro, un presidio dopo l’altro, da Amsterdam all’Irlanda, da Londra alla Spagna, dal sud America a tutta l’Italia, si è levato un grido unitario “Free Palestine” che si è alzato sempre più forte. La bandiera palestinese è diventata in pochi mesi la più conosciuta e sventolata della storia. I movimenti ProPal si sono moltiplicati anche grazie al web, ma la risposta della politica tardava ad arrivare, cosa che non meraviglia ma che ha fatto crescere l’indignazione.

Contestualmente pochi rari personaggi pubblici, come la cantante romana Fiorella Mannoia, l’attore e autore Moni Ovadia di origini ebree e rock star storiche come Roger Waters, si erano esposti, con ripetute dichiarazioni pubbliche, cercando di scuotere le coscienze. A Milano il 4 settembre 2024 si era tenuta una manifestazione musicale “Nessundorma” che aveva coinvolto una quindicina di artisti tra i più giovani e amati, come Francesca MichelinWillie PeyoteCormo djset, Queen of Saba, per sensibilizzare il pubblico soprattutto dei giovani, sulla tragedia del popolo palestinese, raccogliendo circa 40.000 euro da mandare alle associazioni onlus per Gaza. L’evento aveva riscosso un insperato riscontro di pubblico, tanto da farla replicare qualche settimana dopo anche a Bologna.

Ed ecco che il risveglio ha cominciato a propagarsi. Le manifestazioni e le proteste degli studenti universitari da Bologna ad Harvard, per la Palestina e contro la politica occidentale compiacente con Israele, si fanno sentire, ma vengono severamente punite.

Le tifoserie di calcio negli stadi di tutto il mondo, hanno cominciato ad esibire bandiere palestinesi e striscioni per Gaza. In Italia purtroppo un po’ meno, poiché il clima pesante creato da questo Governo e lo spettro del DL Sicurezza, che è ormai legge dello Stato, col voto in Senato del 4 giugno scorso, ha frenato gli entusiasmi, anche perché in più di un’occasione sono state sequestrate bandiere palestinesi all’ingresso degli stadi. D’altronde gli “accertamenti” della PS per chiunque manifestasse o anche solo esibisse un fazzoletto, in difesa della Palestina, si sono moltiplicati. Infatti quando una ristoratrice napoletana subisce l’aggressione verbale di quattro turisti sionisti nel suo locale, che per altro vanno via senza neanche pagare il conto, la condanna ufficiale è quasi unanime. Però la reazione dal basso è che l’intera città di Napoli si solleva a sostegno della ristoratrice e di Gaza e con loro, via via, tutta l’Italia. I tifosi del Pisa festeggiano la promozione in serie A sventolando anche la bandiera palestinese.

Le geometrie cominciano a cambiare. Non si può controllare sempre tutto e tutti e c’è un limite anche alle bugie e alle omissioni di Stato e dei media. Il mondo è connesso e se questo sta bene quando vogliono vendere i loro prodotti, deve stare bene anche quando il prodotto in vendita è un principio di umanità e giustizia, condiviso dal basso.

La sollevazione popolare è commovente, ma all’appello manca la voce per definizione più vicina al popolo, quella del mondo dello spettacolo. Quell’universo che vive di consenso “pop-olare” e che della gente comune e dei grandi temi sociali si fa spesso paladino, dal pulpito di schermi, canzoni e palcoscenici. Del resto è pur sempre un mondo privilegiato e strettamente connesso con il mondo degli affari e talvolta con la politica.

È stato un silenzio assordante rotto solo a strappi e che nessuno aveva il coraggio e la coerenza di rompere. Ma poi qualcosa è cambiato.

Roger Waters, leader dei Pink Floyd, la più grande band rock di tutti i tempi, rilascia una lunga intervista, spiegando l’importanza di stare dalla parte della Palestina, di condanna del genocidio, della lotta contro la censura e del ruolo significativo che l’arte gioca nel mettere in discussione le strutture di potere. Erik Clapton, chitarrista statunitense, icona del rock, fa i suoi concerti con una chitarra dipinta della bandiera palestinese. Annie Lennox cantautrice scozzese, chiede il cessate il fuoco a Gaza dal palco di un concerto in memoria di Sinèad O’Connors e dona 100.000 sterline per aiuti umanitari alla Palestina, ricavati dai diritti della sua hit “Sweet dreams”. Ben 300 cantanti, attori e sportivi britannici scrivono una lettera congiunta al Governo nazionale, per porre fine alla complicità del Regno Unito negli orrori di Gaza.

Il primo Maggio un gruppo rock emergente italiano, i Patagarri grida e fa gridare ai più di 100.000 di piazza San Giovanni, a Roma, “Free Palestine”, alzando il solito polverone di ipocrisia e di tutti contro tutti all’italiana. Gli Imagin Dragons, gruppo pop statunitense, amatissimo dai giovani, lanciano il grido per Gaza dal palco dei loro concerti. Piero Pelù leader dei Litfiba, canta “Onda araba” per il popolo palestinese al grido di: “Questa è per Gaza. Due popoli, due Stati. Palestina libera!”.

La delusione di pubblico e colleghi, arriva dall’alto cantautorato italiano, da sempre così vicino e sensibile ai temi sociali e ai valori umani, almeno a sentire le loro canzoni e dai quali ci si aspettava una reazione. Artisti come Vasco Rossi, De Gregori, Renato Zero, Cristicchi, Ligabue, Jovanotti, che hanno sempre fatto del “rumore” la loro cifra artistica, sono improvvisamente diventati silenti e distanti.

Arriva il David di Donatello, il premio cinematografico più importante d’Italia e c’è chi teme e chi spera nelle parole che potrebbero arrivare da quel palco. Ma i vincitori del David parlano e non puoi fermarli dal vivo e in diretta tv. Così l’attore romano Elio Germano, appena premiato come miglior attore protagonista per il film “Berlinguer – la grande ambizione” fa un forte appello a favore della parità di dignità tra tutti gli esseri umani, specificando che: “un palestinese deve avere la stessa dignità di un israeliano”. E ancora dallo stesso microfono Francesca Mannocchia vincitrice per il miglior Documentario dedica il premio “ai 20.000 bambini della striscia di Gaza e a tutti quelli che continuano a morire in guerra, mentre noi festeggiamo questo premio”. Margherita Vicario, premiata come miglior regista esordiente, esorta il Governo ad investire di più in arte, cultura, sanità e servizi e non nelle armi.

E ancora dal mondo della musica i britannici Massive Attak incolpano il loro governo di non agire contro Israelee ancora prima Brian Eno, raccoglie fondi per Emergency a Gaza, con l’evento “Voices from Gaza” e gli italiani Tiromancino si schierano contro il massacro palestinese, con pesanti pubbliche dichiarazioni, in più occasioni.

La gente comune esulta, le manifestazioni si incrementano e la politica d’opposizione nazionale aguzza la vista e comincia a contare i potenziali voti e il proselitismo che si può fare su questo movimento popolare, indipendente e trasversale e si fa finalmente avanti tra la folla, tirando fuori la voce perduta e cavalcando l’onda delle proteste pacifiche, con dichiarazione di condanna, colpevolmente tardive e proponendo una serie di manifestazioni a sostegno della Palestina. Meglio tardi che mai?!

Segue il Festival di Cannes, la kermesse cinematografica più prestigiosa, dove l’attrice francese Juliette Binoche, nell’occasione presidente del Festivalrende omaggio a Fatma Hassouna giornalista palestinese, che a 25 anni è morta a Gaza, assieme a tutta la sua famiglia, uccisa da un bombardamento israeliano, il giorno dopo aver ricevuto la candidatura al festival per il suo documentario.

Nell’occasione del Festival viene anche presentata una lettera aperta di denuncia, firmata da oltre 350 attori, registi e produttori, di tutto il mondo, tra cui Laura Morante, Susan Sarandon, Joaquin Phoenix, Richard Gere, Mark Ruffalo, Viggo Mortensen, Brian Cox, nella quale si legge: “Non possiamo rimanere in silenzio mentre a Gaza si sta consumando un genocidio… Ci vergogniamo di questa passività“.

Anche Nanni Moretti, noto per il suo impegno politico quanto per la sua riservatezza, reduce da un grave e lungo problema cardiaco, esce dalla sua confort-zone e pubblica una breve post, esasperato tanto dai troppi morti quanto dalla connivenza politica. La sua esternazione fa subito il giro di tutto il web.

La ferrea von der Leyen prende nota in silenzio e decide di aprire alla possibilità di rivedere gli accordi commerciali tra Ue e Israele. L’Italia e altri 8 Paesi votano contro.

Il Paris Saint Germain vince la Champions League contro l’Inter, ma i suoi tifosi la vincono prima dei giocatori in campo, sui tifosi avversari, sfilando per le strade di Monaco a sostegno della Palestina e così anche sugli spalti, cancellando la tifoseria interista.

Ora gli argini sono definitivamente rotti. Nel muro di omertà che conteneva le proteste, adulterava l’informazione e alimentava l’indifferenza, si è aperta una breccia più grossa del muro e sempre più sono quelli che vogliono passare dall’altra parte.

L’8 giugno scade e si rinnova automaticamente, come ogni cinque anni, il Memorandum tra Italia e Israele, sugli accordi economici e bellici. Il Governo Meloni ha già annunciato che non lo revocherà. Intanto sotto Montecitorio la cattiva coscienza del padrone, come la chiamerebbe Cornacchia/Manfredi, nel film “Nell’anno del Signore” di Luigi Magni, la fanno un gruppo sempre più folto di cittadini comuni, con interventi spot di giornalisti e attori, che presidiano la piazza, per protestare contro questa decisione del Governo, gridando alla loro complicità nelle morti di oltre 20.000 bambini.

Un gruppo di dieci giuristi italiani il 21 maggio scorso ha firmato una diffida formale al Governo, affinché revochi il suddetto Memorandum d’intesa, in materia di cooperazione militare e della difesa con Israele. 

Sarà dunque non solo il tribunale della Storia ma anche quelli Penali nel mondo, a giudicare chi ha ragione e chi è colpevole in questa penosa vicenda. Ma da tanto male si può sperare che stia rinascendo qualcosa di buono: l’umanità dell’umanità.

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