Un film storico è una pazzia non solo per gli errori storici, ma per l’immancabile e giustificata incomprensione da parte del pubblico delle volontà stilistiche dell’autore. La situazione peggiora se il guadagno conta più della qualità, diventando l’unico fine, oltre a quello di intrattenere. Ne sa qualcosa Ridley Scott, regista noto ai più per Alien, Blade Runner e Il Gladiatore, che dal 14 novembre scorso è tornato nelle sale con il secondo capitolo della saga dei gladiatori più famosi di Roma. Il film a fronte di un guadagno al botteghino di 320 milioni di dollari, è al diciassettesimo posto tra i film più visti al cinema nel 2024, ma ha fatto parlare molto di sé.
Un buon risultato economico è sempre indice di qualità? In questo caso sembrano esserci dei dubbi. In tutta la sua filmografia sulle epoche passate, il regista inglese non ha mai fatto mistero di ignorare beatamente evidenze e nozioni storiche invitando i bacchettoni da primo banco a «farsi una vita» e ad apprezzare l’estro creativo, diverso dallo scopo del documentario. Anche per Il Gladiatore II, arrivato dopo House of Gucci (2021) e Napoleon (2023), sembra aver ragionato in modo simile. Il risultato? Una montagna di critiche piombate addosso al film dal mondo degli storici di professione e degli appassionati di storia antica. Questo nonostante il nuovo film abbia visto muoversi una macchina imponente da più di 250 milioni di dollari, confermando la sua natura di kolossal
Partiamo dal più evidente ed esilarante. In una breve sequenza del film dove viene mostrata la tomba di Massimo situata nei sotterranei del Colosseo, l’epigrafe funebre recita una frase in inglese moderno. Chi ha visto il film non avrà potuto fare a meno di notare (e di ridere) leggendo «What we do in life echoes in eternity!», ovvero la traduzione del famoso grido di battaglia pronunciato da Massimo prima di ingaggiare battaglia («quello che facciamo in vita riecheggia nell’eternità»). Anche chi non ha affrontato studi umanistici può constatare da solo che l’iscrizione sarebbe dovuta essere presumibilmente in latino. L’errore è talmente evidente da far pensare che sia voluto, magari per fare altra pubblicità al film, anche se negativa.
Passando invece a due questioni più precise, hanno fatto molto discutere la presenza dei rinoceronti e degli squali bianchi nelle sequenze di lotta all’interno dell’Anfiteatro Flavio. Per i primi, la professoressa di lingua e letteratura latina Maria Wyke dello University College di Londra afferma a GQ UK che siano plausibili. Negli spettacoli gladiatori erano inclusi anche animali esotici (come tigri, leoni, giraffe, ecc.) per mettere in mostra gli straordinari mezzi dell’imperatore nel creare uno spettacolo fuori dal comune e ricco di colpi di scena, grazie anche ad un sistema di botole segrete dalle quali uscire all’improvviso per cogliere di sorpresa i gladiatori. Quello che appare inverosimile è che qualcuno potesse cavalcarlo, e che si potesse affrontare con l’aiuto della sola spada, come mostra il film. Il problema sorge anche in merito alle definizioni. A combattere contro gli animali erano solo i venatores, altrimenti detti anche bestiarii. I gladiatori, come propone a IFLScience la studiosa Alexandra Sills dell’Università di Leicester, «combattevano solo contro altri gladiatori», e sappiamo che raramente si trattava di scontri uno contro uno, quando invece erano per lo più di gruppo e seguivano dei criteri ben prestabiliti.
Passando agli squali, la docente americana di studi classici Shadi Bartsch dell’Università di Chicago suggerisce, in un commento su The Hollywood Reporter, che non fossero neanche conosciuti dai romani. A Scott, però, sembra non interessare. E, anzi, in un’intervista per Collider tira dritto affermando che fossero conosciuti e sfruttati già all’epoca, aggiungendo che venissero coinvolti solo squali «di piccole dimensioni», senza citare studi a riguardo che confermino la sua intuizione. Secondo lui, prova ne sarebbe il fatto che sia impossibile pensare a dei romani capaci di allagare tramite dei condotti una costruzione come il Colosseo, ma del tutto inermi di fronte alla pesca degli squali. Gli storici, pertanto, «non devono rompere» (parole sue). «Non fa una piega», cit.
Gli errori che potrebbero apparire per lo più come dei tocchi d’autore riguardano le figure storiche realmente esistite presenti nella trama. La pellicola segue le vicende politiche avvenute durante il periodo di guida congiunta dell’Impero dei due fratelli Geta e Caracalla, nel film presentati come gemelli. In realtà, il secondo era nato quasi un anno prima, e il loro governo condiviso durò la bellezza di 10 mesi per concludersi con l’assassinio di Geta da parte di Caracalla sotto agli occhi della madre Giulia Domna. I personaggi subiscono quindi uno sbalzo temporale di più di vent’anni, sovrapponendosi con una certa confusione alla reale linea dinastica dei cesari romani.
L’assassinio del primo dei due fratelli costituisce nel film un’altra svista rispetto alla narrazione storica ufficiale. Questo perché (occhio allo spoiler!) nel film la morte di Geta è causata per mano di Caracalla tramite decapitazione. Ancora oggi è discusso se Caracalla sia stato l’autore materiale dell’omicidio, o se, invece, ne sia stato solo il mandante, affidando il compito a dei centurioni. E’ assodato, però, che nel dicembre del 211 d. C. Geta non è stato decapitato, ma trafitto da una spada, e la leggenda vuole che sia avvenuto in occasione di un incontro organizzato per riportare pace nella famiglia.
Casualità, ma anche la morte del temibile Caracalla sembra essere avvolta dal mistero. Nel film (altro spoiler) avviene per mano dell’allora prefetto del pretorio, Macrino (che gli succedette alla guida dell’Impero), interpretato da Denzel Washington. Ciò che sappiamo veramente è che fu ucciso da un soldato della guardia pretoriana, Marziale, si dice sotto richiesta di Macrino, oppure a causa di una mancata nomina a centurione. La scomparsa di Caracalla avvenne nel 217 d. C., ben sei anni dopo la morte del fratello Geta, e non nello stesso anno come mostrato nel film.
Il tasto dolente è il personaggio di Lucio Vero interpretato da Paul Mescal, che qui è del tutto inventato. Egli è realmente esistito ed era figlio di Lucio Aurelio Vero, imperatore romano insieme a Marco Aurelio dal 161 al 169 d. C., e di Lucilla Augusta (Connie Nielsen in entrambi i film), sorella dell’ex imperatore Commodo e figlia di Marco Aurelio. Non fu mai imperatore né gladiatore, perché morì in tenera età, essendo nato tra il 166 e il 167 d. C. e scomparso entro il 180 d. C. Forse, l’unica vera invenzione che si può perdonare al regista.
Prima di concludere, vogliamo lasciare il lettore con un piccolo retroscena. In un’intervista al regista rilasciata dal settimanale il venerdì del quotidiano La Repubblica, Scott racconta che il proposito di creare un sequel fu preso in considerazione fin da subito, a partire dalla conclusione delle riprese del primo titolo, e che Russell Crowe avrebbe voluto farne parte a tutti i costi. Non solo, ma l’indiscrezione rivela anche che il cantautore Nick Cave sarebbe dovuto essere l’autore della futura sceneggiatura, su suggerimento di Crowe, avendo già assunto quel ruolo nel film Ghost… of the Civil Dead del regista John Hillcoat (con il quale realizzerà in seguito altre due sceneggiature). Anche se in un primo momento l’idea di un Cave impegnato dietro alla scrittura del film sembrava intrigante, la questione si rivelò un nulla di fatto a causa delle idee proposte e ritenute adatte «per un film Marvel», a detta del cineasta britannico.
Il testo prevedeva il ritorno in vita di Maximus per mano degli dei pagani per contrastare il diffondersi del cristianesimo in Europa insieme al figlio dell’amata Lucilla, Lucio, per poi cambiare fazione in favore del figlio ritrovato, Marius (convertito al cristianesimo). Il film era stato chiamato da Cave Christ killer. L’iniziativa naufragò e i primi sceneggiatori, David Franzoni e John Logan, avevano già prestabilito di riprendere il lavoro da dove si era arrestato, ribadendo che Massimo non potesse tornare in vita, ma che bisognasse continuare a seguire il filo logico del solco tracciato (cosa che il nuovo responsabile della sceneggiatura per Il Gladiatore II, David Scarpa, ha rispettato). Indubbiamente quello di Cave non sarebbe stato un capolavoro, ma, dopo aver accumulato tutta questa serie di errori, c’è chi, a questo punto, avrebbe voluto vederlo e chi mente…