Uscirà il 6 dicembre Take your time and drink 3 little green soda’s, prima raccolta di brani di Frank Debrìs, artista che si sta ritagliando degli spazi anche in ambito internazionale e che pubblicherà nel 2025 il suo primo album. Alle spalle varie pubblicazioni di singoli, tra cui spicca il più recente Mitochondria. Abruzzese d’origine e romano d’adozione, da 17 anni opera a Roma sia come dj e compositore, che come produttore con Podium Studio. Di recente ha anche esordito all’estero chiudendo una serata al District Club di Cardiff, a cui ha partecipato, tra gli altri, anche Nick Warren. Potete ascoltare e seguire Frank Debrìs cliccando su questo link. Di seguito la nostra intervista esclusiva.
Vorrei cominciare dalla tua formazione da musicista. Dove nasce la passione? E come si è evoluta?
“Ho studiato la chitarra come primo strumento, dal 1998 al 2004. Esercitandomi tanto ho cominciato ad avere i primi gruppi molto presto, esordendo su un palco a 13 anni. Nel 2007 mi sono trasferito a Roma, abbandonando la musica per riprenderla poi nel 2010. Nel frattempo avevo già ricominciato a suonare la batteria, che avevo imparato da autodidatta. Nel 2011 sono entrato in un gruppo, l’Orchestra dei Sassi, da batterista. Inizio anche a insegnare musica, incluso il basso che ho imparato autonomamente. Nel 2012 invece entro nel mondo del deejaying, lavorando per un’organizzazione di eventi che è tutt’oggi molto importante – si chiama Any Given Monday – che mi ha fatto avvicinare a quell’ambito. Avevo anche già la passione per la musica elettronica, ascoltavo Chemical Brothers, Daft Punk, Moby, Fatboy Slim. Ho iniziato a fare piccole serate e qualche apertura, poi man mano sono cresciuto sempre di più. Mi sono buttato nella produzione nel 2016, perché avendo questo background era arrivato il momento di cominciare a comporre dei pezzi da solo, non esclusivamente con gli Eternit, che era il gruppo in cui suonavo all’epoca”.
Oltre alla composizione, a cos’altro ti dedichi nella tua vita professionale?
“Come producer lavoro con Podium Studio. Lo condivido insieme al proprietario G Romano, un noto produttore hip hop/rap di Roma che ultimamente si è spostato sull’elettronica. Facciamo produzioni di qualsiasi tipo, i nostri clienti sono vari e spaziano dalla trap al pop, dall’hip hop al rap, insomma tutti i generi. Ultimamente ho prodotto anche un brano natalizio, in estate un album cantautorale e uno rock. Mi occupo anche delle mie produzioni, alcune già uscite e altre che usciranno. Oltre a tutto ciò sono, come detto, deejay, chitarrista, bassista e batterista sia come insegnante che come turnista. Prediligo certi generi, ma mi adatto a tutti quanti. Ultimamente sto lavorando anche come fonico”.
Il 6 dicembre uscirà il tuo primo EP, che conterrà quattro brani inediti. Da cosa nasce questo progetto?
“Nasce dall’esigenza di mettere su dei brani che fossero molto più verso il mondo del mio mix in console. Mi capita spesso di fare delle serate in cui faccio un genere che può essere progressive house o minimal techno, ma le tracce che ho prodotto per me sono sempre sul big beat, electro, deep house. Sono dei miscugli che hanno cominciato a prendere vita. Così ho deciso di cominciare a produrre un genere in particolare che è appunto la progressive house. L’anno scorso, quando ho iniziato a comporre, avevo in mente di fare appunto un EP, non un album intero. L’album è un progetto su cui sto lavorando da anni e uscirà nel 2025, e i brani che usciranno il 6 dicembre ne saranno un’introduzione. Si tratta di quattro tracce di cui due sono strumentali. In un brano racconto una storia musicata in elettronica – cosa che penso sia abbastanza sperimentale – con la voce prestata dall’autore della storia stessa, Giampaolo Giudice. L’ultima è invece una riedizione o cover di Sirius di Alan Parsons Project. C’è un legame tra i quattro brani, però il significato vero e l’interpretazione la lascio a chi li ascolterà”.

In quanto al genere, l’EP che uscirà come lo classifichi?
“Misto tra progressive house e minimal techno. In molti la potrebbero definire melodic techno perché fornisce delle melodie che sono orecchiabili per tutti. Oggi è molto in voga soprattutto nel mondo “Afterlife”, ma è in realtà un’accezione nuova che si dà alla progressive house, che è un genere che esiste da molto più tempo. Si spazia tra melodie e armonie come se fosse una canzone rock anni ’70: cambia spesso, non è sempre lo stesso motivo, c’è un build-up, un drop… insomma non è monotona. Take your time and drink 3 little green soda’s è sicuramente di questo genere, però il mio genere personale, che si sentirà meglio nell’album, secondo me è quasi indefinibile. Etichettarlo sarebbe riduttivo”.
Di recente sei stato invitato a suonare al District Club di Cardiff. Com’è nata la possibilità e com’è stata l’esperienza?
“Aubrey Fry mi ha contattato un anno fa tramite la sua organizzazione, Connected With, che mi ha poi ospitato il 30 agosto in Galles. Aveva ascoltato delle mie produzioni online e mi chiese se volessi andare a sentire una serata dove suonava lui. Ci siamo conosciuti e da lì è nata una collaborazione. Ho portato Aubrey Fry a Roma tramite Take Your Time, un’organizzazione che ho fondato io lo scorso anno. Dopodiché Aubrey mi ha chiamato per presenziare in una serata al District Club insieme a Nick Warren e altri deejay. Condividere il palco con un mostro e un maestro come Nick Warren è stata un’emozione assolutamente irripetibile. È stato il mio debutto in Gran Bretagna, ma anche a livello internazionale. Sono sicuro che sarà la prima di tante date”.
Prima hai parlato di sperimentazione in merito ad un tuo brano. La musica elettronica è il “genere degli esperimenti” nella musica contemporanea.
“Non è una cosa nuova la sperimentazione nell’elettronica, ma nasce negli anni ’80. Anzi, in realtà dai Kraftwerk negli anni ’70, i quali hanno cominciato ad usare strumenti elettronici mischiando digitale e analogico, creando suoni completamente nuovi anche nel mainstream. La sperimentazione in questo genere c’è e ci sarà sempre, perché è in continua evoluzione. Il sound permette anche l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, talvolta purtroppo e altre volte per fortuna. Quindi ci sono tante cose che si possono fare”.
Per concludere vorrei chiederti un parere sulla condizione della musica elettronica nel contesto di Roma.
“Secondo me per la musica elettronica, Roma è una città defunta. Negli anni realtà come il Goa, l’Expander o l’Akab sono sparite, ed è molto difficile proporre questo tipo di musica ai locali romani, perché tendono a pensare che la musica commerciale sia fonte di guadagno, attraendo più pubblico. Il problema è che se il pubblico è abituato ad un solo gusto, è normale che poi tenda verso quello. Se invece si cominciassero a far assaggiare più piatti differenti, magari il pubblico se ne potrebbe innamorare”.
Tutto il mondo musicale va in questa direzione.
“Sì, perché a mio modesto parere, da producer e da musicista, credo che alcuni produttori e alcune case discografiche abbiano capito che settorializzando e centralizzando due generi, si possano raccogliere più introiti e royalties possibili nel breve termine. Invece nel lungo termine sono dell’idea che cambieranno strategia e si adatteranno a più mode”.