Ogni Olimpiade possiede la madre di tutte le polemiche. Sommate fanno una bandiera punteggiata di schizzi di fango. Eppure, l’intento iniziale sembrava un festival delle buone intenzioni. Si correva e si vinceva per l’alloro, ma le tensioni politiche e gli interessi economici dei paperoni finanziari hanno rimesso in discussione la cultura dello sport, l’orologio della polemica si è messo in moto nelle prime olimpiadi con l’esclusione delle donne. Le inglesi si erano già riversate sulle strade di Londra per rivendicare il diritto di voto e i giochi olimpici diventarono l’occasione per una battaglia sociale che ebbe nel tempo una crescita esponenziale. Lo sport divenne un diritto universale che riversò su diverse manifestazioni i malumori del popolo dei miserabili che colsero nelle olimpiadi l’occasione per partecipare alla mensa collettiva del benessere. Ma la presenza del colore dell’arcobaleno, delle fedi religiose e delle diversità culturali scatenarono le bande del razzismo contro l’inclusione dei diversi. E pensare che Roma divenne eterna per l’accettazione di ogni colore, di ogni divinità e di ogni cultura.
Molti non capirono quel testamento storico lasciato dai romani alle generazioni future, tantomeno i fautori del fascismo e del nazismo che esclusero ebrei, zingari, gay e neri da ogni istituzione pubblica. Del resto nelle Olimpiadi di Berlino, Hitler non strinse la mano al più grande atleta di ogni tempo solo per il colore della pelle
e fece di tutto per espellere dal pugilato uno zingaro diventato campione di Germania prima che il nazismo prendesse il potere. Ma anche in Italia i pugili neri finirono ai margini dello sport per la pelle annerita dal sole e dal tempo.
I nostalgici del dominio bianco ebbero però uno smacco doloroso durante le Olimpiadi di Città del Messico nel 1968. La rivoluzione globale partita dalle università americane contro la guerra in Vietnam si era estesa in Europa con gli epicentri in Italia, in Francia e in Germania e coinvolse i giochi olimpici messicani. Le proteste degli studenti eredi dei Maja vennero stroncate nel sangue. Non si è mai saputo quanti ragazzi e ragazze caddero falciati dai mitra, ma certamente furono migliaia. Però durante i giochi olimpici si alzò un pugno che cambio la cultura dello sport. I pugni chiusi nel cielo messicano furono il gesto più politico della storia dei giochi. Smith e Carlos, due velocisti americani di colore scuro, chinarono la testa e alzarono il braccio destro con la mano chiusa durante la premiazione per protestare contro la discriminazione razziale sempre presente nelle regioni meridionali degli Stati Uniti. La politica entrò di prepotenza negli stadi. Ogni conflitto divenne l’occasione per boicottare i giochi. Avvenne a Mosca con l’assenza degli atleti americani e si ripropose a Los Angeles senza i sovietici. Il tempo in questo caso non ha sanato le ferite. Un poeta visionario cileno che raccontava in una poesia il dramma delle donne centro americane che si addormentavano spose e si svegliavano vedove, disse che sarebbe venuto il momento in cui una donna presidierà il comitato olimpico internazionale e le Olimpiadi sarebbero diventate una casa sanitaria per curare i guai del mondo con la tregua dei fucili puntati.
INDIGESTIONE OLIMPICA
L’ultima cena di Leonardo illustrata all’apertura dei giochi di Parigi scatena l’ennesima polemica. La chiesa entra a gamba tesa e accusa gli organizzatori di blasfemia. Il ciclo polemico sanguina ancora con le proteste della nazionale italiana di pallanuoto che volta le spalle alla giuria e il caso dell’atleta algerina Khelif accusata di avere un eccessivo livello di testosterone. Tradizione rispettata con al centro i veleni della Senna.