Per un pungo di dollari è un plagio. Il mito creatosi attorno alla regia di Sergio Leone (1929-1989), in realtà, fu smontato fin dal primo capitolo della Trilogia del dollaro, di cui quest’anno ricorrono i sessant’anni. Sì, abbiamo capito bene: la creatività e le scelte espressive di questo film sono un falso storico-artistico. O almeno così sembrano voler raccontare i giapponesi.
Non è la classica storia di un manipolo estero di nicchia che prova a screditare e ridimensionare la qualità del “genio italiano”, come spesso sentiamo dire, e al quale converrebbe più non prestare ascolto, ma poggia, invece, su basi più solide di quanto si immagini. Eh già, perché nel lontano 1964 la pellicola firmata dal cineasta romano finì nell’occhio del ciclone per l’accusa di plagio ad un altro importante film pubblicato ben tre anni prima, La sfida del samurai (o Yojimbo, nel titolo originale) di Akiro Kurosawa.
L’intera opera cinematografica del regista giapponese era ben nota alla critica internazionale: il suo Rashomon del 1950 gli valse l’Oscar come miglior film straniero e il Leone d’oro al Festival di Venezia; e, un decennio più tardi, ispirò I magnifici Sette di John Sturges, del 1960, grazie al suo memorabile I sette samurai del ‘54, di cui si ritrovano gli echi fin dal titolo. Mario Monicelli riprenderà in chiave ironica la singolare capigliatura dell’attore-protagonista, Toshiro Mifune, per il suo Vittorio Gassman ne L’armata Brancaleone del 1966.
Tornando a Leone sappiamo che vide sicuramente il film e che ne rimase folgorato, tanto da pensare di poterne creare una versione western. La scelta appare controcorrente se si ha presente che in quegli anni si consumava la grande crisi del genere, considerato ad un passo dal declino, sempre meno incluso nella produzione americana e, di conseguenza, malvisto dai distributori cinematografici perché poco remunerativo a livello di incassi. Come se non bastasse, il lavoro del filmaker italiano fu ulteriormente penalizzato dalla mancanza di una presenza femminile da cui scaturisse la love story intrecciata al plot principale.
Ne nasce il film che conosciamo e abbiamo apprezzato (forse senza neanche contemplare l’esistenza del suo “precedente” giapponese), che ottiene un successo immediato e, soprattutto, inaspettato. Il film registra, contro tutte le previsioni, e nonostante i primi insuccessi, specie quello agli Incontri del Cinema di Sorrento, un’impennata a partire dal lunedì 31 agosto di quel 1964, in una piccola sala di Firenze, quando il film incassa, per la prima volta in una serata, la quota di 1 milione e 400mila lire (quasi il quadruplo delle 400mila ottenute nel primo giorno di proiezione, nel venerdì precedente). Negli anni a seguire, sia Leone, che Tonino Valerii, all’epoca addetto all’edizione del film e futuro regista di Il mio nome è Nessuno, attribuirono al passaparola dei primi spettatori di quel fine settimana il trionfo al box office.
E’ a quel punto che arriva ai centralini della Jolly Film la telefonata dagli studi transoceanici della Toho Film (casa di produzione de La sfida del samurai), promettendo battaglia legale per plagio. In realtà, sappiamo anche di una missiva indirizzata a Leone, scritta di proprio pugno da Kurosawa. Arrigo Colombo e Giorgio Papi, manager dell’azienda, distribuirono il film in Italia, dimenticano (o forse no, per quanto sostiene Leone) di versare le quote per i diritti del film nonostante le evidenti somiglianze, in particolar modo nelle scelte di struttura della trama (letteralmente una fotocopia), e, come riporta il giornalista Allen Barra, anche per una serie di coincidenze nella scelta delle inquadrature e delle angolazioni. Inizialmente, la strategia di difesa comprese uno stratagemma all’italiana, che impegnò Valerii a cercare un’opera letteraria che presentasse caratteri simili alla trama del film, per dimostrare l’inautenticità, a sua volta, del lungometraggio di Kurosawa. L’assistente alla regia di Leone escogitò una soluzione tutta da ridere, proponendo come testo originale l’opera teatrale goldoniana Arlecchino servo di due padroni. La soluzione risultò vincente e destinata a cambiare le sorti del processo.
La vicenda si conclude con un patteggiamento delle parti, che concordarono una cessione completa dei diritti di vendita del film in Corea del Sud, a Taiwan e in Giappone, qui, col titolo di Koya no YOJIMBO (pochi rimorsi, ci pare di capire), insieme al 15% degli incassi totali a livello globale. L’operazione fruttò a Kurosawa più di quanto avesse mai ottenuto con tutti i suoi film. La diatriba legale fu la causa anche della posticipata consegna del film negli Stati Uniti, approdando solo nel 1967 nei cinema a stelle e strisce.
Sergio Leone non ammise mai di aver plagiato l’opera del collega nipponico, ma, anzi, ha sempre sostenuto di essersi ispirato ad autori cinematografici precedenti al suo contestatore. E’ riportato in più fonti a lui direttamente dedicate, come i preziosi contribuiti di Christopher Frayling, Noel Simsolo e Marcello Garofalo, che si sia discostato non solo dalla sceneggiatura originale di Yojimbo (della quale sembrerebbe essersi procurato una copia tradotta proprio per non incorrere nelle esatte parole), ma anche che il suo unico scopo nei suoi confronti fosse di mantenerne la“struttura di base”, a sua volta accusata di essere attinta da Red Harvest, romanzo dello scrittore americano Dashiell Hammett, comparso per la prima volta a puntate tra il 1927 e il 1928 (di cui, in effetti, si può riscontrare un certo imprinting).
A complicare ulteriormente le cose pensò Kurosawa dichiarando di essersi ispirato sì a Hammett, ma non al romanzo in questione. In quanto appassionato di noir americano, si diceva rapito dalla trasposizione filmica di un altro dei suoi romanzi (The glass key di Stuart Heisler) realizzato nel ‘42. Quest’ultimo, però, non sembra presentare elementi di continuità di alcun tipo con la pellicola del Sol Levante. La vicenda che contorna la produzione del film assume caratteri ancora più paradossali se si considera che la tanto controversa sceneggiatura vive, in riferimento soprattutto ai dialoghi, una bizzarra vicenda. Verrà smarrita da Leone durante il rientro della troupe dalle riprese in Spagna e riscritta ex novo perché stranamente dimenticata da tutti.
Gli aneddoti e le versioni della storia di Per un pugno di dollari si sono susseguiti intessendo un fitto rapporto di smentite e conferme, senza mai approdare ad una versione definitiva. Ancora oggi, servirebbe un’intera bibliografia appositamente dedicata solo per riuscire a capirne qualcosa. Per adesso gli spettatori rimangono con un pugno, sì, ma di mosche!


