Nei mari della Liguria, un pescatore che viaggiava tra i fondali marini, si accorse che un grappolo d’uva finito tra gli scogli aveva mantenuto non solo il suo sapore, ma anche una nuova fragranza. Decise così di immergere quaranta chili d’uva in fondo al mare, pregando Nettuno di dargli una mano. Nel suo vagabondare tra i miti, ritenne che tre giorni, trenta minuti e trenta secondi fossero sufficienti a dare colore e sapore all’uva.
Il 6 agosto dell’anno corrente, Napoli è stata protagonista di un evento che ha ricevuto l’attenzione del mondo dell’enologia. Nel Golfo, vicino Castel dell’Ovo, sono state calate 4 mila bottiglie di vino a circa 40 metri di profondità: l’obiettivo è quello di sperimentare il metodo di affinamento subacqueo, immergendo alcune bottiglie di un vino orange e un Aglianico irpino bio naturale e non filtrato. La calata è stata effettuata per inaugurare la cantina subacquea Megaride di proprietà dell’imprenditore Francesco Lerro, che dopo anni di lavoro è riuscito ad ottenere la concessione di una piana sottomarina da dedicare alla sua attività. La cantina ha una capienza potenziale di 90 mila bottiglie, tanto che è già in programma per il 30 settembre – anche se la data è indicativa – l’immersione di altre 4 mila bottiglie di una falanghina spumantizzata.
La vera novità risiede nella decisione di dedicare parte della cantina a bottiglie di olio d’oliva e di aceto balsamico, per i quali non risultano precedenti tentativi, a differenza del vino. Per la fine del mese di ottobre, 6 mila bottiglie tra olio e un aceto balsamico di Modena, già invecchiato 30 anni, verranno aggiunte alla cantina Megaride. Inoltre, come dichiarato dallo stesso Lerro a Repubblica in un’intervista del 25 agosto, l’intenzione è quella di sfruttare successivamente la cantina per delle visite subacquee con un diving.
Il vino trova dunque giovamento dal mare, ampliandone il ventaglio di funzionalità che in questo caso si presta al servizio del gusto, della bellezza gastronomica. Cos’è che rende le profondità marine tanto idonee all’affinamento del vino? Gli studi, iniziati già negli anni Novanta con i primi esperimenti condotti da Piero Lugano, hanno rivelato che il microclima nel quale la bottiglia viene inserita ha caratteristiche estremamente funzionali in quest’ottica. Innanzitutto, la temperatura costante e la pressione esercitata sul tappo a quelle profondità (tra i 40 e i 60 metri) rendono l’ambiente molto simile a quello di una camera iperbarica. L’assenza di luce e di ossigeno permette di rallentare il processo di invecchiamento, mentre il movimento delle correnti e delle onde cullano il vino, favorendo una miscelazione più uniforme dei composti aromatici. Questo processo porta a un affinamento più omogeneo e raffinato. Qualcuno ha detto che “è come andare in paradiso con cento vergini in calore”.
Nel 2009 il già citato Piero Lugano, fondatore della cantina Bisson di Chiavari, effettuò uno stoccaggio sottomarino di un carico di bottiglie, a 60 metri di profondità. La scelta nacque da una necessità di tipo logistico, non avendo più spazio nelle cantine sulla terraferma. L’anno successivo vennero prelevate 168 bottiglie di Champagne dal relitto di una nave scomparsa nel 1840, individuato nel Mar Baltico tra la Svezia e la Finlandia. L’assaggio di alcune di queste bottiglie da parte di una giuria di esperti internazionali stupì per l’ottima forma del vino e per la sua evoluzione di gran lunga migliore delle aspettative. Altri tentativi sono stati fatti nel decennio scorso, ma la diffusione del fenomeno si è verificata soltanto negli ultimi due anni, con una crescita quantitativa strabiliante: tra il 2021 e il 2022 il numero di bottiglie inabissate è passato da 100 mila a 400 mila, mentre nel 2023 si è raddoppiato, raggiungendo gli 800 mila pezzi – di cui 150 mila in mari italiani.
Bisogna ancora sciogliere il dubbio sulla sostenibilità di questo metodo. Si è parlato di risparmio energetico, sfruttando la climatizzazione naturale dell’ambiente marino, oltre al risparmio di suolo per la conservazione delle bottiglie. Tuttavia, come fa notare il Gambero Rosso, “l’affinamento è al momento realizzato su vini che sono già finiti e lavorati, etichette che hanno ottenuto la doc per intenderci. Indi per cui si tratta di un passaggio in più, di un surplus di lavoro, con bottiglie che viaggiano anche centinaia di chilometri per saggiare il silenzio del mare, le operazioni sui fondali e il ritorno in cantina”.
Si dice che le idee vengono dal cielo, ma per il pescatore la fantasia venne dal mare.


