Ero in classe quando ad un certo punto un’alunna mi si avvicina e mi dice che ha un dolore molto forte allo stomaco. Fa fatica a respirare e le viene da piangere, ma non sa il perché. La porto fuori dall’aula, lei beve e mangia qualcosa e sembra che piano piano la situazione migliori, ma il crampo allo stomaco non vuole saperne di passare. Dopo qualche esercizio di respirazione la ragazza sembra perdersi improvvisamente per poi riconcentrarsi su un punto lontano non ben definito. La vedo che finalmente riesce a cogliere quel pensiero tanto rincorso e lo tira fuori con tanta veemenza come un vulcano quando decide di eruttare. “Prof, credo di avere l’ansia”. Ansia. 13 anni. Fa strano pensare che a quell’età si possa capire cosa sia l’ansia, ma soprattutto credere che si riesca effettivamente a provarla. Invece, al giorno d’oggi, è molto frequente che i ragazzi da quell’età in poi, usino e abusino di questa parola, perché provano “strani” stati emotivi e l’associazione con la parola ansia è immediata. La sentono spesso in giro, come biasimarli dunque, ma dietro tutto questo c’è molto di più che un semplice stato d’ansia.
L’adolescenza, si sa, è un periodo cruciale nella vita di una persona, perché segna il passaggio tra l’infanzia e l’età adulta, e porta a sperimentare spesso una profonda crisi d’identità, che può essere accompagnata da una serie di malesseri.
In questo lungo periodo infatti c’è una disperata e quanto mai repentina ricerca del sé, un sé autonomo, più adulto e più “figo”, che si distacca dunque dai modelli familiari, che si ribella a quell’eredità culturale trasmessa dalle istituzioni scolastiche e non. Tutto ciò, però, può portare ad una profonda crisi d’identità, perché le possibili strade da percorrere sono infinite e non sempre è facile indirizzarsi a quella giusta. Crisi d’identità, identità. Ma cos’è l’identità per un adolescente?
Clinicamente, il senso di identità è una base necessaria alla salute psichica sulla quale poggia la possibilità di intrattenere relazioni con il mondo esterno riconosciuto in quanto tale e distinto da sé. Ma per una giovane o un giovane, cosa può significare? Sperimentazione. I ragazzi di oggi vogliono sperimentare, ma in modo rapido, interattivo, divertente, semplice. Queste esperienze di sperimentazione le affrontano principalmente negli ambiti extrafamiliari, come quelli amicali sociali e sessuali. In questo modo i ragazzi imparano nuovi ruoli che diventano sempre più significativi fino ad essere introiettati. Il problema però risiede nel fatto che essere adolescenti oggi significa confrontarsi quotidianamente con un bombardamento costante di stimoli esterni, provenienti non solo dal contesto sociale immediato, ma soprattutto dal mondo virtuale, dai social media. Ogni giorno i ragazzi sono esposti a un’infinità di modelli di vita, di corpi, di stili, di modi di essere che difficilmente riescono a conciliare con il proprio sé, ancora in fase di costruzione. Questo sovraccarico di informazioni può portare a quella che potremmo definire una “crisi identitaria virtuale”.
Un noto psicologo e educatore statunitense, Robert James Havighurst, dedicò gran parte dei suoi lavori allo studio e alla creazione di una teoria sui compiti di sviluppo, con cui si intendono le sfide e gli obiettivi che gli individui affrontano in diverse fasi della vita per poter crescere e migliorare. Descrive infatti di come la costruzione dell’identità sia una delle sfide fondamentali per i giovani. Infatti, afferma che uno degli obiettivi chiave di questa fase è quello di “costruire un’immagine di sé coerente e solida”, un’immagine che deve fare i conti con il proprio corpo, i propri desideri, ma anche con le aspettative della società e delle persone che li circondano. Mai come oggi questo processo risulta complesso e frammentato. I social media amplificano l’incertezza e il confronto, rendendo spesso impossibile raggiungere quella coerenza e solidità di cui parlava Havighurst.
La rete, dunque, non nasce per loro come strumento finalizzato solo all’informazione, alla comunicazione a distanza, all’evasione, ma anche e soprattutto al contatto, alla vicinanza, alla presenza, alla condivisione delle proprie esperienze con la cerchia degli “amici”. È una rete che potremmo definire “emotiva”, più che informativa.
I social, infatti, creano un contesto di iperconnessione in cui la vita reale e quella virtuale si mescolano e sovrappongono. Gli adolescenti sono spinti a costruire una doppia identità: quella reale, fatta di relazioni concrete, limiti e imperfezioni, e quella virtuale, perfettamente curata, in cui ogni post, ogni immagine, è il risultato di una costruzione minuziosa, orientata a ottenere il massimo consenso possibile in termini di “like” e approvazione sociale. La pressione a mantenere questo equilibrio crea non solo ansia, ma anche un senso di inadeguatezza e alienazione.
Non sorprende quindi che molti adolescenti si sentano persi, incapaci di trovare un punto di riferimento stabile. Sono costantemente in bilico tra l’immagine di sé che desiderano proiettare e ciò che realmente sono. Questo squilibrio può generare stati d’ansia profondi. Come può un giovane trovare il proprio posto nel mondo se il modello ideale è un profilo Instagram perfettamente curato, che non mostra mai insicurezze o momenti di vulnerabilità? I social media impongono, in un certo senso, di essere perfetti, portando i ragazzi a vivere una tensione continua tra chi sentono di essere e chi pensano di dover essere per essere accettati.
A tal proposito, ho avuto modo di parlare con un collega riguardo a un caso che gli si è presentato qualche tempo fa. Mi ha raccontato di una ragazza di 13 anni che, a scuola, ha subito e subisce episodi di scherno e isolamento, ma che non riesce a chiedere aiuto. Dopo mesi passati in questo stato, la ragazza abbandona la scuola e, i genitori, preoccupati, cercano di intervenire in tutti i modi. Scoprono così che la ragazza aveva creato un profilo sui social media e che ogni giorno controllava costantemente i like e i commenti ai suoi post, trovando in questi numeri una fonte di approvazione e felicità. Tuttavia, quando le interazioni cominciarono a diminuire, il suo umore diventò instabile, facendola sentire insicura e bisognosa di ulteriori attenzioni. Nel tentativo di risolvere la situazione, si espose a contesti pericolosi, ottenendo il risultato opposto, venendo infatti duramente criticata ed insultata..
La visibilità continua sui social network fa sì che i ragazzi vivano in una sorta di vetrina permanente. Ogni azione, ogni parola, ogni immagine può essere giudicata, criticata, esaltata o derisa in tempo reale. Questa costante esposizione fa sì che l’autostima diventi spesso dipendente dall’approvazione esterna, aumentando il rischio di fragilità emotiva e di ansia sociale. Se un tempo il giudizio arrivava solo dall’ambiente immediato (compagni di classe, amici), ora è possibile essere valutati da centinaia, se non migliaia di persone.
Un altro aspetto da considerare è la dimensione della comparazione sociale. La possibilità di confrontarsi costantemente con altri adolescenti, o con influencer e celebrità, fa sì che la percezione del sé diventi inevitabilmente distorta. Quando i giovani si confrontano con standard di bellezza irrealistici o con stili di vita apparentemente perfetti, il rischio è che sviluppino una visione negativa di sé stessi, sentendosi costantemente inadeguati. Questo può sfociare in un aumento dell’ansia, che si manifesta attraverso sintomi fisici (come quelli che la mia alunna aveva descritto) o attraverso un senso di disagio psicologico diffuso e persistente (come la ragazza del caso del mio collega).
L’ansia diventa quindi una risposta naturale a questa costante pressione, una reazione a un mondo che sembra chiedere troppo, troppo in fretta, e che non lascia spazio all’esplorazione del sé autentico. Come dice Havighurst, “l’adolescente è impegnato nel compito di diventare sé stesso”, ma in un mondo dove le regole del gioco cambiano ogni giorno, questo diventa un compito titanico.
Quindi, come possiamo aiutare i ragazzi a navigare questa fase così complessa? Forse il primo passo è quello di insegnare loro a distinguere tra il mondo virtuale e quello reale, a non confondere l’identità costruita online con il proprio vero sé. Dobbiamo aiutarli a capire che l’immagine perfetta sui social non è che un frammento della realtà, e che l’autenticità è molto più preziosa di un like.
Vero, che fase delicata oggi l’adolescenza…
Che età difficile l’adolescenza e quanto è faticoso per gli educatori aiutare i ragazzi…