470 giorni di Gaza: dal genocidio alla presunta tregua

Viaggio nel feroce conflitto di Gaza, tra proclami minacciosi, massacri taciuti e una tregua da cardiopalma. Scopriamo anche il ruolo X dell’italia

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Da quel lontano 14 maggio 1948, in cui gli ebrei fecero il loro ingresso ufficiale nelle terre tra Medio Oriente e Nordafrica, essendo stato dichiarato lo Stato di Israele, non si è più avuto un solo giorno di pace.

L’ONU, nel 1947 decise di dare al popolo eletto la famosa Terra promessa nei Sacri Testi, dopo millenni di attese e di contese. Si scelse di spartire la Palestina transgiordana, un pezzo di terra poco più grande del Piemonte, vicina a Egitto e Cisgiordania, tra gli ebrei e gli arabo-palestinesi, lasciando Gerusalemme come zona neutrale. I popoli che si trovavano già da quelle parti, ovviamente non ne furono esattamente contenti e così cominciò la moderna questione israelo-arabo-palestinese. Il conflitto iniziò subito dopo. Già nel 1948 Israele occupava per la prima volta la Palestina, cacciando i palestinesi da casa loro. Ciò accadde ancora nel 1949 e poi nel 1967, anno in cui Israele occupò Gaza, la Cisgiordania, Gerusalemme Est e la penisola del Sinai, occupazione durata fino al 2005. Nel tentativo di riconquistare i territori perduti, il 6 ottobre 1973 Egitto e Siria sferrarono un attacco contro Israele, dando inizio alla quarta guerra arabo-israeliana.

Ma tutto ha sempre girato intorno a Gaza. Questa piccola striscia di terra di appena 40 km per 9, con poco più di 2mln di abitanti, che è lo sbocco sul Mediterraneo della Palestina. Alla fine della Grande Guerra, Gaza era sotto il controllo britannico e così rimase fino al 1948, quando la Striscia finì sotto il controllo egiziano. Nella “Guerra dei Sei giorni” del 1967, Gaza era stata occupata dagli israeliani. Nel 1993 con gli accordi di Oslo, Gaza venne progressivamente liberata e restituita ai palestinesi. Processo che tra dentro e fuori, si concluse nel 2005. Nel frattempo a Gaza si faceva strada il movimento politico estremista e violento di Hamas, che pensa di poter risolvere la complessa questione, a colpi di attentati e sequestri di ostaggi. Per fortuna in Palestina, in quegli stessi anni c’era al governo Arafat, del partito Fatah, che lavorava per un accordo di pace definitiva con Israele. Quando pace sembrava ormai fatta, col leader israeliano Rabin, questo fu assassinato da estremisti israeliani, prima di poter concludere gli accordi con Arafat.

Arrivando ai nostri giorni, l’attuale conflitto è scoppiato, in un momento in cui si era entrati nel vivo dei negoziati per la normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita, sotto l’egida degli Usa, nel contesto degli Accordi di Abramo del 2020. Ormai più di 470 giorni fa, ossia 15 mesi, scoppia l’ennesimo conflitto israelo-palestinese, forse il più violento e sanguinoso, per il popolo palestinese. La scintilla è l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, con l’operazione “Alluvione Al Aqsa”. Un massiccio gruppo organizzato di terroristi, viola i confini sulla Striscia di Gaza, facendo irruzione nello Stato di Israele, con veicoli civili – auto, moto, pick-up e pare anche dei deltaplani a motore, mentre vengono lanciati circa 3000 razzi verso Israele. Il bilancio è pesante: oltre 1000 vittime israeliane, tra morti e feriti e circa 250 ostaggi, portati a Gaza. La reazione di Israele non si fa attendere, quasi non aspettassero altro. Passano all’immediato contrattacco con 300mila unità, con l’operazione “Spade di ferro”. il premier Benjamin Netanyahu dichiara: “Risponderemo con un’irruenza che il nemico non ha mai conosciuto e vinceremo”. Inizia così il bombardamento a tappeto su Gaza, che non si fermerà fino al 18 gennaio 2025.

L’11 ottobre il Primo Ministro israeliano Netanyahu, intima alla popolazione palestinese di lasciare il nord di Gaza. Per chi resta non c’è speranza, né pietà. Gaza in pochi giorni è già irriconoscibile. Le macerie avanzano sugli edifici. Tra quelle macerie centinaia tra feriti, sfollati e corpi di civili inermi, su tutti quelli di tanti bambini. A fine ottobre inizia l’invasione della Striscia di Gaza e le uccisioni di civili diventano capillari. Hamas nel frattempo ha liberato 4 ostaggi israeliani bisognosi, come gesto umanitario, ma nulla può anche solo rallentare la furia israeliana e di Netanyahu. Con una massiccia avanzata militare, Israele occupa progressivamente tutti i territori della Striscia. L’invasione diventa un vero e proprio assedio e massacro. Fuoco su civili, donne, anziani e centinaia di bambini. Scuole e ospedali distrutti. Aiuti umanitari bloccati o sabotati. Aggressioni anche a giornalisti e soccorritori. Medici cacciati a forza dai presidi ospedalieri. Intanto dopo un anno, ancora non cessano i bombardamenti. Gaza ormai è più polvere che macerie e tra le macerie centinaia di morti ammazzati. Ma si muore anche di fame e di freddo. Molti cominciano a parlare di genocidio. Molti di più però, approcciano al conflitto, come fosse una sparacchiata doverosa di Israele, contro i soliti terroristi di Hamas e che Netanyahu abbia le sue incontrovertibili ragioni, come se tanta morte e distruzione non esistessero. Ma i numeri parlano chiaro: secondo il Ministero sono circa 50.000 i morti, fino alla tregua. Secondo uno studio, pubblicato dalla rivista scientifica inglese Lancet, le vittime si aggirano intorno ad 80.000, considerando anche i morti ancora non rinvenuti e le morti indirette, per infezioni varie e denutrizione. Il dato più sicuro è che il 60% delle vittime, sono civili e di questi, almeno la metà sono bambini. Certo, oltre alla strage di civili, ci sono anche vittime illustri, mietute dagli israeliani: il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ucciso nella Striscia e il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ucciso a Beirut. Ma neanche questi successi militari e politici, riescono ad appagare Netanyahu e ricondurlo alla ragione, per fermarsi e proporre una trattativa.

Dunque Israele continua ad agire indisturbato, nell’indifferenza generale, almeno apparente, ma con il supporto di fatto, degli Usa. Intanto la Palestina attende e spera. Dopo che Israele ha esteso il conflitto anche su Libano e Cisgiordania, attaccando pure le missioni di pace. Dopo che la Corte Penale Internazionale (Icc) ha emesso un mandato di cattura contro il leader israeliano Netanyahu, e contro il suo ex-Ministro della Difesa, Yoav Gallant, per crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Dopo aver distrutto tutto quello che c’era sulla striscia di Gaza, cose e persone, molto più di quanto poteva essere ragionevole distruggere, ammesso che distruggere anche una sola vita innocente, sia ragionevole, si è arrivati al cessate il fuoco, alla tregua.

La tregua viene discussa e approvata dall’ONU il 15 gennaio. Lo annuncia il neo-Presidente statunitense Donald Trump. Le scene di giubilo dei palestinesi alla notizia, lungo le strade polverizzate di Gaza, sono commoventi. Le condizioni della tregua sono divise in tre fasi: la prima, in corso, prevede la liberazione dei 33 ostaggi israeliani, da parte di Hamas, cominciando da donne civili e militari, bambini e anziani. In cambio Israele deve rilasciare 30 prigionieri palestinesi, per ogni civile israeliano e 50 per ogni soldatessa. Inoltre Israele deve ritirare gradualmente le sue truppe dal centro di Gaza, consentendo il rientro della popolazione palestinese, ma anche l’accesso degli aiuti umanitari. La seconda fase prevede che Hamas liberi tutti i rimanenti ostaggi, in cambio del rilascio di altri prigionieri palestinesi. Di conseguenza le parti si accorderanno per il prolungamento della tregua e gli israeliani continueranno a permettere l’ingresso degli aiuti umanitari. Nella terza fase i contendenti si dovrebbero accordare per un cessate il fuoco permanente, che assicuri l’incolumità di entrambe le popolazioni. Infine Israele dovrà liberare completamente il territorio della striscia di Gaza, restituendolo alle autorità palestinesi. Di fatto gli attacchi contro i palestinesi non si sono fermati neanche dopo la faticosa ratificazione della tregua. Il giorno dopo Israele, che aveva già deviato il suo fuoco su Cisgiordania e Libano, fa 87 vittime palestinesi. Nei giorni successivi con l’operazione “Muro di ferro”, l’esercito sionista brucia case e uccide palestinesi, in Cisgiordania. Ancora la BBC rende noto che l’esercito sionista ha colpito ben 97 volte nella zona “sicura” per i civili palestinesi. Lo scambio di ostaggi intanto procede, sempre sul filo del rasoio ma l’accordo regge.

In tutto questo la posizione ufficiale del Governo italiano qual è? Intanto ricordiamo che l’Italia è tra i Paesi che ancora non hanno riconosciuto lo Stato di Palestina. Dall’inizio del conflitto non ci sono dichiarazioni formali o prese di posizione su questa grave e vicina questione bellica. Silenzio/assenzo? Nessuno chiarisce. Ad ottobre 2024 Israele attacca il quartier generale e due basi italiane della Unifil, missione di pace Onu nel sud del LibanoIl governo italiano protesta formalmente contro le autorità israeliane, per l’attacco. Il Ministro della Difesa Crosetto dichiara: ” Non si tratta di un errore, non si tratta di un incidente. Possibili crimini di guerra”. Il PdC Meloni ha un colloquio telefonico con il nostro Comandante della missione e uno con l’ambasciatore Israeliano e tutto si chiude così. Il Presidente Mattarella nel discorso di fine anno ci rivela che a Gaza una bambina è morta di freddo. Il vice-presidente del Governo e Ministro degli Esteri Tajani, dopo la condanna per crimini di guerra e il mandato di cattura internazionale contro Netanyahu, dichiara che il leader israeliano in Italia non sarà mai arrestato. Il 15 gennaio all’ONU l’Italia si astiene, sul voto per la tregua tra Israele e Palestina. Dopo di che, il Ministro Tajani dichiara che l’Italia è in prima fila per la ricostruzione. È notizia di questi giorni che sono stati arrestati da Israele l’ex-europarlamentare ottantenne Luisa Morgantini e il giornalista inviato del Sole24ore Roberto Bongiorni. Chissà il nostro Governo adesso cosa dirà e cosa farà?

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