giovedì 15 Maggio, 2025

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Il culto delle capuzzelle a Napoli: quando la morte diventa venerazione, gioiosità e speranza

A Napoli la venerazione dei morti è una tradizione profonda e complessa, che si manifesta in diverse forme e rituali. Tra le pratiche più singolari troviamo il culto delle capuzzelle (“piccole teste” o teschi) che riveste un significato particolare per molti napoletani. Questi simboli, spesso adornati e custoditi con cura, rappresentano non solo il ricordo dei defunti, ma anche una fonte di protezione. Un rito che risale al Seicento, quando una terribile epidemia di peste colpì la città decimando migliaia di vite: da qui, per i sopravvissuti, il rapporto con la morte divenne fonte di vita e speranza.

Le capuzzelle, esposte in chiese, cappelle, luoghi di culto e ipogei, sono oggetti di venerazione che richiamano l’attenzione su una dimensione spirituale che va oltre la semplice memoria del defunto. Nella cultura napoletana, la morte è vista come una parte naturale della vita, e i teschi diventano portatori di energia e auspici positivi. I devoti credono che attraverso la preghiera ai teschi, si possano ottenere guarigioni, favori e protezione. I Napoletani adottano una capuzzella, la adornano di fiori, le offrono doni: il teschio diventa vita, il macabro gioiosità. Una tradizione che, toccando i lidi del continenti americano, ricorda il Día de los Muertos messicano, famoso per la sua musica e le sue maschere tradizionali, ma soprattutto per i suoi teschi colorati, sgargianti, decorati con fiori e motivi gioiosi.

Le storie di guarigione e di miracoli legati alla pratica delle capuzzelle sono numerose, e vengono tramandate di generazione in generazione. La “piccola testa” è vista come un intermediario tra il mondo terreno e quello spirituale, capace di influenzare il destino di chi la venera. Questa tradizione ha attratto anche l’attenzione di figure importanti, come il celebre artista Andy Warhol, che trovò nella cultura napoletana un fertile terreno di ispirazione per il suo lavoro. Anche altri artisti e scrittori hanno trovato nel culto delle capuzzelle un tema affascinante: Herman Melville, che visitò le Fontanelle nel 1857; André Gide che, con la sua sensibilità per le tradizioni locali, ha saputo cogliere l’essenza di questo culto, esaltandone la forza evocativa; Roberto Rossellini, che in Viaggio in Italia si ispira a questi luoghi di culto sotterranei per la discesa agli inferi della protagonista.

Il culto delle capuzzelle a Napoli non è solo una manifestazione di devozione; è un modo per affrontare la morte, trasformandola in un’opportunità di speranza e di connessione. Attraverso le storie di guarigione e i legami che si creano attorno a questi simboli, si comprende quanto sia ricca e affascinante la cultura napoletana, capace di fondere vita e morte in un unico abbraccio spirituale. La venerazione dei morti diventa, quindi, un potente messaggio di resilienza, in grado di attraversare il tempo e toccare il cuore di chiunque vi si avvicini.