Trump Vs. Biden: è questo il meglio che può offrire l’Occidente?

Dopo quattro anni pieni di sfide degne della Guerra Fredda, Joseph Robinette Biden Jr. si trova di nuovo di fronte al Tycoon, uomo d’affari iconico ed esponente dei Repubblicani, Donald Trump Jr. 

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I due, entrambi candidati per ricoprire il proprio secondo mandato presidenziale, sono probabilmente alla loro ultima chance, almeno dal punto di vista anagrafico, con il Presidente uscente che, nel 2028, avrebbe 86 anni, mentre Trump arriverebbe ad averne 81, età tuttavia in linea con quella attuale del suo competitor. 

I problemi per Trump sarebbero da ricercare effettivamente altrove, dato che ha monopolizzato le ultime tre campagne elettorali del Partito Repubblicano, e difficilmente potrebbe ricevere un endorsement dopo due tentativi consecutivi fallimentari. Inoltre, il Tycoon sta affrontando tre diversi processi, sebbene la corte suprema abbia riconosciuto agli ex Presidenti l’immunità parziale.

Ciò che sta tenendo banco nel dibattito elettorale, è più che altro legato alla persona del Presidente uscente: dopo una serie di problemi riscontrati durante il suo mandato, lo stato psicofisico di Biden è apparso peggiorato in maniera evidente rispetto al passato, ed il brillante Segretario di Stato del 44° Presidente degli Stati Uniti, poi 46° Presidente della Superpotenza Occidentale, sembra aver perso lo smalto. Numerose le voci che hanno chiesto al candidato Democratico di ritirarsi e lasciare spazio ad altri, soprattutto da firme eccellenti della stampa più vicina al suo stesso partito, come da personaggi di spicco. 

Ciò che preoccupa gli osservatori stranieri, oltre all’ombra di Trump, è che il faro che guida la NATO e l’Occidente non riesca a trovare un candidato credibile e senza scheletri nell’armadio. Ma come siamo arrivati a questo punto?

È ormai passata una decade da quando, in occasione del secondo e ultimo mandato di Obama, si è riaccesa l’attenzione sulle elezioni americane. Un doppio mandato presidenziale ci ha consegnato il primo presidente di origini afroamericane della storia della più grande Superpotenza del mondo, otto anni di politiche progressiste che rispondevano ad un periodo di crisi per le economie occidentali, partita proprio da Wall Street. Non fu sorprendente vedere vincere i Repubblicani nel 2016, dato che la storia ci ha spesso insegnato che, in politica, periodi di stress portino ad una voglia di cambiamento con la loro fine. Ne è stato un esempio Attlee, che subentrò a Churchill non appena finì la Seconda Guerra Mondiale, andando lui alla Conferenza di Potsdam del 1945. Peculiare in quel caso fu la foto di rito dei vincitori, che aveva visto due elementi di novità accanto al leader sovietico, Stalin, unico a restare al comando del proprio paese con la fine della guerra; tuttavia, è doveroso ricordare che Roosevelt venne a mancare poche settimane prima, venendo sostituito da Harry Truman alla guida degli Stati Uniti.

Nel caso delle elezioni del 2016, la scelta di Hillary Clinton come candidata alla Casa Bianca fece storcere il naso a moltissimi esponenti del partito Democratico, e questo portò ad una vittoria seppur sofferta del Tycoon. I voti decisivi dei Grandi Elettori furono motivo di polemiche, con una profonda spaccatura che emerse tra  città e campagne, e l’impressione che lasciò la tornata elettorale fu quella di una controversia rimandata solo di pochi anni, con l’auspicio per i Democratici di trovare un candidato con un appeal maggiore della First Lady più discussa di sempre. 

I quattro anni di mandato di Donald Trump hanno visto un personaggio totalmente fuori dagli schemi guidare Washington, lasciando il segno sia in politica interna che estera. Le relazioni incrinate con la Cina, l’apertura verso Kim Jong-Un e Vladimir Putin, che stride sicuramente con il fallimento a cui è andato in contro il rinnovo dei trattati contro la proliferazione nucleare tra Russia e Stati Uniti. Infine, gli scandali, i processi, le problematiche attorno alla famiglia di Trump, eventi che hanno portato alle elezioni del 2020 un candidato forte internamente, disastrato fuori dai confini, ma ancora in partita. I Democratici, preso il tempo per riorganizzarsi dopo il 2016, hanno fatto affidamento su Joe Biden, già personaggio di spicco degli otto anni di Obama, il quale ottenne anche un largo supporto nel Partito. 

Anche in questo caso, il risultato non fu scontato, e ciò che forse pesò maggiormente per il Presidente uscente fu il Coronavirus, che tra contrazione dei mercati, aumento sia dell’inflazione che della disoccupazione, fece buon gioco del competitor Democratico. Anche qui, come in altri casi tra cui il già ricordato 1945, la politica è stata soggetta alla voglia di cambiamento dell’elettorato.

Bisogna però ricordare un po’ di timide voci che risuonavano già quattro anni fa, le quali vennero però prese poco in considerazione: si guardava con preoccupazione all’età dei due candidati, ormai ben oltre i 70 anni, età che in ogni paese sviluppato dà diritto alla pensione, e soprattutto a quello che sarebbe successo nel 2024. 

Quando altri paesi vedevano eletti leader giovani in rampa di lancio, come Macron e Trudeau, o lo stesso Xi Jinping in Cina, gli Stati Uniti avevano presentato due alternative in età avanzata, espressione di una generazione forse superata. Mentre la presenza del Tycoon era comprensibile, essendo un Presidente alla ricerca del suo secondo mandato, Joe Biden portava con sé una domanda: possibile che non ci fosse un’alternativa più accattivante anagraficamente? 

Gli avvenimenti di questi ultimi quattro anni, partendo dall’assalto a Capitol Hill, passando per la Guerra in Ucraina e il conflitto Israelo-Palestinese, non hanno fatto dimenticare questo fattore, o almeno, non come avrebbero potuto, anche con la complicità dello stesso Presidente, spesso apparso in difficoltà, tra un inciampo salendo sulle scale dell’Air Force One ed un discorso poco lineare in cui veniva perso il filo.

Eccoci quindi giunti all’argomento eclatante: il primo confronto elettorale tra Donald Trump e Joe Biden, che mai come in questo caso potrebbe essere uno spartiacque storico.

Ciò che forse in Occidente non si riesce a replicare è lo spettacolo scenografico dei confronti elettorali tra i candidati presidenziali. Probabilmente, le possibilità offerte da un bipartitismo come quello statunitense sono migliori di quelle che abbiamo ad esempio in Italia, ma anche l’importanza nello scacchiere geopolitico crea un divario di per sé incolmabile tra Washington e qualsivoglia Paese occidentale. 

Accendendo la televisione una sera di fine giugno, si è potuto vedere da ogni parte del mondo il confronto più importante dell’anno, un vero spettacolo che porta anche chi è disinteressato a seguire con attenzione i botta e risposta che poco hanno di politico e tanto di show Hollywoodiano. E qui sono cominciati i problemi per il Presidente uscente. Già salendo sul palco, Biden appare claudicante, limitato nei movimenti, con accanto un Trump dal passo più sicuro, dalle movenze misurate e ben più fluide.

Sul tema inflazione, vedere passato e presente confrontarsi ha sicuramente reso possibile pensare a molte variabili entrate in gioco, e sicuramente la parentesi Covid ha avuto un ruolo fondamentale. Si torna però velocemente a notare la differenza nel portamento tra i due: Trump parla con un ritmo molto incalzante, sfrutta i minuti concessi dai moderatori in modo rapido e mettendo nel suo discorso risposte dirette alle domande degli Anchor Men, parole per il pubblico, e attacchi alla controparte. 

Biden prova a fare lo stesso, andando però spesso a prendersi più tempo per rispondere, con una voce meno sicura e sempre in affanno. La sua balbuzie è abbastanza famosa, sin dai confronti della scorsa tornata elettorale. Tuttavia, è evidente che vi sia un peggioramento delle sue capacità rispetto a quattro anni fa. 

Trump in questo scenario agisce da Tycoon, prendendo la sua preda – il Presidente della più longeva superpotenza del mondo – in contropiede più volte. Per fare un esempio, a seguito di una risposta di Biden sul tema dell’immigrazione e la sicurezza dei confini, un Presidente molto confuso e dalle frasi apparentemente inconcludenti ha concesso il fianco debole ad un Trump energico che ha aperto il suo intervento ironizzando sull’incertezza delle espressioni del candidato democratico, sostenendo che non aveva compreso la fine dell’intervento di Biden, e che probabilmente nemmeno lui stesso sapesse cosa avesse detto veramente. 

Facciamo adesso un passo indietro al primo confronto del 2020: ad un osservatore qualsiasi, sembra che il Biden del 2024 sia il padre di quello visto in occasione delle scorse elezioni. Guardando all’altro podio, per Trump sembra sia passata una settimana. La voce vuota e preoccupante di Biden solamente quattro anni prima era piena, sebbene resti una leggera balbuzie a ricordarci che siamo spettatori della stessa persona nei due confronti. 

Nell’ora e mezza di querelle di giugno 2024, traspare benissimo come gli Stati Uniti siano di fronte ad un voto che non è un’elezione presidenziale, quanto un referendum sulla fiducia che il Presidente uscente possa andare avanti altri quattro anni. 

Se ci soffermiamo a pensare a come cambia non solo il mondo, ma solo la nostra stessa vita, ci sembra un battito di ciglia in cui andiamo a cambiare moltissimi aspetti delle nostre vite, senza pensare a come ci adattiamo al passare del tempo per il nostro fisico. E questo, osservando Biden, fa sembrare possibile che i prossimi quattro anni possano pesare come se fossero il triplo. 

Il problema dell’età, a onore del vero, non esiste solo per lui, considerando che lo stesso Trump arriverebbe alla fine del suo ultimo mandato avendo compiuto ottantuno anni. Un requisito fondamentale per ricoprire il ruolo del Presidente di uno Stato Federale di tanta importanza è la capacità di apparire forte, presente mentalmente, e questo potrebbe essere il vero problema per Biden, almeno per quanto riguarda gli aspetti critici oggettivi sulla sua persona. Va detto questo perché l’anzianità non deve per forza essere un’onta sull’operato di una persona, ma resta una variabile che guiderà gli indecisi all’interno della cabina elettorale.

Tuttavia, ciò che potrebbe togliere sicurezza al Tycoon non dovrebbe essere relativo alla questione anagrafica, bensì l’altro aspetto con un peso specifico rilevante sulle figure dei candidati, ovvero gli scandali e i numerosi processi che hanno colpito entrambi. Da una parte, Biden è stato colpito dal processo al figlio Hunter per acquisto illegale di un’arma da fuoco, pena che prevede fino a 25 anni di carcere. Trump, dal canto suo, non si è fatto mancare nulla: sebbene la Corte Suprema abbia dichiarato che gli ex Presidenti possono essere protetti da accuse penali negli atti ufficiali, resta ancora in piedi il processo sui pagamenti illeciti all’attrice a luci rosse Stephanie Clifford, per il quale la sentenza finale verrà resa nota il 18 settembre, due mesi più tardi di quanto inizialmente previsto e proprio per effetto della decisione della Corte Suprema. 

Il giudizio sul quale l’organo più alto nel sistema giuridico americano si è espressa, invece, riguardava la pagina più nera della politica americana, l’assalto a Capitol Hill, sede del Congresso, del 6 gennaio 2021. Questo fa pensare che il processo, per quanto possa andare avanti, porterà ad una condanna effettiva solamente a seguito del prossimo eventuale mandato di Trump, qualora la vittoria dovesse arrivare. 

Per concludere, non resta che una considerazione a noi in Europa, che non saremo ovviamente chiamati a nessun altro ruolo che non sia quello di spettatori non paganti. È questo ciò che abbiamo di meglio da offrire, come massima espressione del mondo occidentale? L’alleanza che unisce le due coste dell’Atlantico ci lega a doppio filo con ciò che succederà nei prossimi mesi in America, soprattutto con le partite che abbiamo da affrontare a est, con i conflitti in Ucraina e Medio Oriente che vanno avanti e non vedono una soluzione all’orizzonte, che provenga dalla diplomazia o dal campo di battaglia poco importa. Non possiamo dire noi se una ventata di novità potrà portare risposte che aspettiamo da troppo tempo, né fare affidamento sul fatto che le scelte politiche, secondo la filosofia dell’Antica Grecia, debbano essere prese dai più saggi, gli anziani. 

La politica americana è attesa da una sfida importante, e non stiamo parlando di novembre, ma di affrontare al meglio ciò che verrà da gennaio 2025 a novembre 2028. E sarebbe il caso che ci si presentasse con le dovute energie, per non collassare sotto il suo stesso peso. 

Lo scenario politico resta quindi imponderabile. Le questioni giudiziarie di Trump si intrecciano con i limiti fisici di Biden in un binomio di forti preoccupazioni per l’elettorato. C’è però da raccontare che i democratici spingano il presidente a fare un passo indietro: lo farà?

1 COMMENTO

  1. Concordo, in questo momento storico ci meriteremmo una figura più autorevole alla guida della maggior democrazia occidentale.
    Come avremmo bisogno di una “vera” Europa.
    Grazie Alessandro, il tuo stile è schietto ed immediato; ti ho letto con piacere.

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